Critica psicoanalitica 04 del 22.11.1999

Mi ha detto Gesù: è necessario che parli di psicologia! Perché – gli ho chiesto – devo parlare di psicologia? Ti devi interessare di psicologia – mi ha risposto -, perché nel Vangelo si parla di psicologia e precisamente nel Vangelo di Matteo.

Così, mi sono preso il Vangelo di Matteo e mi sono messo a cercare la parola “psicologia”. Penso che al tempo di Gesù non ci fosse ancora la parola “psicologia”, ma qualcosa di affine, come “psiche”. Ho cercato nel Vangelo di Matteo la parola “psiche” e non l’ho trovata. Non c’è né la parola “psiche”, né la parola “psicologia”. Poi ho capito che il testo sacro si deve leggere nella lingua originale, che è quella greca, e non nella versione italiana, altrimenti non ci capisci niente.

Allora, mi sono preso il testo greco e sono andato a cercare: ed infatti, l’ho trovata! C’è la parola “psiuchen” (psiche), che, però, i traduttori italiani hanno avuto la buona accortezza di non tradurre “psiche”, ma di tradurre “vita”; avendo tradotto “vita”, è chiaro che non riuscivo a trovarla. Gesù, invece, parlava proprio della psiche e non della vita, perché ci sono tanti altri termini per indicare la vita.

Gesù parlava in aramaico e Matteo, che lo ascoltava, per diffondere il Vangelo ha dovuto tradurre immediatamente in Greco: lo ha fatto per permettere al Vangelo di esser letto in tutto l’impero romano, in quanto l’unica lingua che si parlava nell’impero romano era il greco e non il latino. Si chiamava “koinè”, cioè una lingua comune, un greco non raffinato, un greco medio, accessibile a tutti quanti. Quindi, l’autore sacro, ha tradotto subito il termine che Gesù usava con “psiuchen”.

Cosa dice il testo? Dice Gesù: “Chi avrà trovato la sua «psiche», la perderà: e chi avrà perduto la sua «psiche» per causa mia, la troverà” (Mt 10,39). Quindi la psiche è un qualcosa che dal punto di vista della fede è necessario venga perduto, perché solo se la psiche viene perduta, allora la psiche viene trovata.

Perché la psiche deve essere perduta? Questa è la domanda che ci poniamo. Gesù afferma che è necessario perdere la psiche, perché solo se la perdi puoi conservarla, puoi salvarla. Che vuol dire “salvarla”? “Salvarla” significa ritrovarla, ritrovare quanto di positivo c’è nella psiche. Questo, però, lo puoi trovare soltanto ad un livello superiore, in una sintesi superiore e non nella sintesi bassa che è la psiche.

Sono ormai due-tre anni che vado leggendo e rimeditando questo passo del Vangelo, che mi ha portato a fare delle riflessioni un po’ gravide di conseguenze a proposito della psiche e della psicologia.

Siccome Gesù “solitamente” ha ragione e ha ragione pure quando dice che devo perdere la psiche, volendo trarre le conseguenze di quanto Gesù mi dice, avendomi messo la pulce nell’orecchio, mi sono andato a vedere bene le cose e mi sono accorto che veramente la psiche merita di essere perduta: beato chi perde la psiche, perché di esso è il regno dei cieli.

Avendo deciso di perdere la psiche, sono stato obbligato moralmente ad agire di conseguenza e a perdere pure qualche altra cosa.

Nell’89, in seguito agli studi fatti, prima di filosofia e poi dei corsi liberi in psicologia (non essendoci ancora il corso di laurea in psicologia), mi iscrissi all’albo degli psicologi. Ora, dovendo perdere la psiche, per essere coerenti ed onesti è necessario che perda anche l’iscrizione all’albo degli psicologi. Intendo, quindi, essere cancellato dall’albo, perché non intendo essere più psicologo.

In realtà non ho mai fatto lo psicologo, ho fatto esattamente il contrario dello psicologo, che è lo psicoanalista: sono due cose opposte, dal mio punto di vista.

Ho ritenuto, quindi, necessario fare questo ulteriore passaggio. Perciò vi prego, quando venite da me per chiedere pareri e consigli, non trattatemi come uno psicologo: non sono psicologo, per favore non offendetemi. Se volete, trattatemi come uno psicoanalista: ho fatto anch’io i miei anni di analisi e quindi trattatemi come uno psicoanalista. Trattatemi come un medico “somato-psichico”, cioè come un medico che parte dal corpo, perché soltanto il corpo può aiutarti ad avere una psiche piuttosto decente. Se partiamo dalla psiche, la psiche ti scassa il corpo, perché, secondo me e secondo il Vangelo, la psiche è proprio una rovina, una distruzione.

La psiche è una patologia. La psicologia è il racconto di questa patologia, cioè è questa patologia che si racconta da sé, dice la storia sua.

La psicopatologia è lo studio severo di questa patologia che è la psiche.

La psicoanalisi è la salvezza dalla psicologia e dalla psiche. Questa è l’impostazione dal mio punto di vista, che ritengo giusto.

Che cos’è la psiche? La psiche è una relazione, una relazione tra l’“io” e il Mondo e, dal mio punto di vista, ogni relazione è falsa, quindi dannosa e rovinosa.

Che cosa sta alla base della relazione? Alla base della relazione c’è la convinzione che io debba essere “altro”, cioè che io sono un essere mancante e che ciò che manca a me sta nell’altro con cui mi pongo in relazione. La psiche presuppone una coscienza di mancamento di sé stessi, la psiche presuppone la coscienza di una incompletezza e siccome c’è la tendenza a completarsi, dov’è la parte che manca a me? È precisamente nell’altro. Allora mettermi in relazione con l’altro significa andare a riprendermi quella parte mancante che dovrebbe stare in me, ma che in me non c’è.

Ora, siccome la parte mancante sta nell’altro, io debbo essere “altro”. Viene a cadere quello che è un principio basilare dell’essere, che è il “principio di identità”: ogni cosa è ciò che è e non può essere altro da sé.

Chiedetevi come mai mettete in atto le relazioni, chiedete a voi stessi che cosa vi spinge a relazionarvi, chiedete a voi stessi qual è la molla che spinge ad agganciare rapporti. È proprio questa coscienza della mancanza: quanto più forte è questa coscienza di mancanza, tanto più tenace è la ricerca delle relazioni; quanto più forte è la ricerca delle relazioni, tanto più dura è questa patologia. Più cercate relazioni e più troverete sofferenze, perché più forte e più pesante e più profonda sarà la coscienza della vostra mancanza.

Dire “psiche” significa dire che io sono incompleto e che ho bisogno di un “tu”, di un altro per completarmi. Fate capire a un “tu”, ad un altro che avete bisogno di lui per completarvi e vi sarete messi completamente nelle sue mani, può fare di voi quello che vuole. È chiaro che anche chi sta di fronte a voi ha una psiche, è un uomo psichico; anche lui ha questa coscienza della mancanza e cercherà voi per mettersi in relazione e per trovare in voi quella parte che a lui manca. Siamo in un rapporto di simmetria.

Chi vince in questo gioco della relazione? Vince colui che fa finta di essere completo e di non avere bisogno dell’altro, il narcisista. Il narcisista è colui che dà un’immediata sensazione di non aver bisogno dell’altro, ma che, in realtà, ha bisogno dell’altro per affermare continuamente il suo narcisismo. Il narcisista è una delle figure più importanti della psiche. Ecco perché la psiche – secondo me – è una patologia, è la patologia dell’identità: non avendo una propria identità, me la vado a cercare nell’altro.

Purtroppo, tutte le relazioni sono fondate su questa mancanza di identità e sul bisogno di trovare nell’altro ciò che manca. Questa necessità di trovare nell’altro ciò che manca, ossia di essere “altro”, è chiaro che parte da un senso di incompletezza, perché chi è incompleto, chi si sente incompleto, chi ha la coscienza di incompletezza, incompleto rimane, non c’è niente che possa colmarlo, perché tutto ciò che viene a colmarmi lo consumo subito, immediatamente. C’è uno spirito vorace che consuma tutto e lascia sempre uno spazio, un vuoto da ricolmare.

Questo fatto di non sentirsi mai completi e mai colmati fa scattare un sentimento profondo che si chiama “ira”. L’ira nasce dalla constatazione che l’altro non ha saputo darti ciò che tu hai dovuto chiedere. Tale sentimento, però, non parte dalla convinzione che l’altro non ci abbia dato ciò che volevamo perché non ce l’aveva, ma dalla convinzione che non ce l’abbia dato perché non ha voluto darcelo, dalla sensazione che ci abbia fatto un torto. L’ira nasce dalla coscienza di essere stati oggetti di un torto gravissimo.

L’ira è un vizio capitale. È un vizio capitale, perché in un certo senso è strutturale all’essere umano, ma anche perché è “caput”, è fonte di tanti altri vizi e difetti.

L’ira – ripeto – scatta proprio dalla constatazione che il proprio “io” non è soddisfatto nella relazione e che la colpa di questa insoddisfazione risiede nell’altro, perché l’altro non ha voluto darti quello che tu gli hai chiesto.

L’ira, poi, si articola negli altri vizi capitali: la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola, l’invidia e l’accidia. La relazione porta a tutti questi sentimenti.

L’invidia è un effetto della relazione. La gola non è non il mangiare i dolci: per gola s’intende l’avidità, la sensazione di un vuoto che è dentro di noi e il bisogno di riempirlo, di colmarlo continuamente. Quindi per gola s’intende l’avidità, consumare continuamente e non riempirsi mai.

La superbia, la lussuria, l’avarizia, la gola, l’invidia e l’accidia sono tutti frutti dell’ira. Quando gli antichi disponevano le cose, le disponevano con un certo ordine, con un certo criterio. I vizi capitali sono sette: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. Se li dividete in due parti, avete tre vizi da una parte e tre vizi dall’altra; al centro sta il cosiddetto “direttore d’orchestra”. Allora avete l’ira che da un lato si articola in superbia, avarizia e lussuria e dall’altro si articola in gola, invidia e accidia. Sotto la superbia, l’avarizia e la lussuria trovate l’ira; sotto la gola, l’invidia e l’accidia trovate sempre l’ira. L’ira è la sensazione di aver ricevuto un torto: è il torto della relazione. Ogni relazione nasce e si sviluppa proprio su questa sensazione del torto ricevuto.

La relazione è una patologia perché si tratta di ritenere che una parte di sé stia nell’altro. Questa è la psiche.

La psicologia sono i racconti che la psiche si fa: abbiamo il racconto della psicologia comportamentista, abbiamo il racconto della psicologia introspettiva, il racconto della psicologia della scuola storica, il racconto della psicologia della scuola del profondo, il racconto della psicologia della scuola strutturalista, ecc. Sono, insomma, 6-7 tradizioni di studio della psicologia, sono i racconti dell’“io”, i racconti che la psiche si fa.

La psicopatologia vera, seria, è quella che va a studiare la psiche come patologia.

La psicoanalisi ha la funzione di liberarci dalla psicologia. Sappiamo che “psicoanalisi” significa dissolvimento della psiche (“analisi” deriva dal verbo greco “analyuo”, che vuol dire “sciogliere”). La psicoanalisi scioglie la psiche, la psicoanalisi scioglie la relazione, la psicoanalisi distrugge tutte le storie.

La psicoanalisi rassomiglia alla filosofia socratica, che ha come fine la liberazione dell’individuo, perché la psicoanalisi – ripeto – scioglie la relazione.

A che punto si trova oggi la psicologia? Quali sono i grandi apporti che oggi dà la psicologia? Ha fatto delle cose piuttosto buone e notevoli nello studio della percezione visiva e nello studio della cognizione, nei processi di apprendimento e per quanto riguarda la mente artificiale, etc; ma per quanto riguarda, invece, l’ambito più strettamente umano (il carattere, le emozioni, le affezioni, le motivazioni, la personalità) la psicologia non ha fatto nessun passo avanti, non c’è alcun progresso, non c’è niente di certo e di sicuro.

Ora, pensate un po’: una persona si avvicina alla psicologia per cosa? Per conoscere meglio sé stesso, il proprio carattere; anzi, ci si avvicina alla psicologia per conoscere meglio il carattere degli altri, perché così si pensa di riuscire a guardarsi bene e a difendersi dagli altri, perché capire la psiche vuol dire spiegare e spiegare vuol dire rassicurare.

Colui che si rivolge alla psicologia, lo fa proprio per avere informazioni sicure, precise: non sulla percezione visiva e nemmeno sui processi di apprendimento, perché queste cose hanno molto a che fare con la fisiologia, con la fisica oppure con l’informatica. Non è molto esaltante sapere che quando vediamo una figura, una volta ne vediamo lo sfondo, un’altra volta ne vediamo l’immagine, oppure sapere come avviene la percezione visiva, o come funziona la mente artificiale, l’apprendimento. Questo ci interessa fino a un certo punto, ma chi va a studiare oggi psicologia, lo fa perché vuol capire che cos’è il carattere, che cos’è la personalità, che cos’è l’emozione, che cos’è l’emotività, cos’è la motivazione.

Quando nel corso di laurea in psicologia si studiano queste cose, ti dicono che quell’autore dice così, quell’altro dice così, ecc., perché non si sa che cosa devi ricercare e come lo devi ricercare. Quindi è inutile rivolgersi alla psicologia per avere informazioni su queste cose basilari: non si sa qual è l’oggetto da cercare, perché, dal punto di vista scientifico, la psiche non c’è. E se la psiche non c’è, non si conoscono neanche i metodi per affrontarla, a parte – ripeto – il campo della percezione visiva, dei processi cognitivi e di apprendimento, che si rassomigliano molto alla mente artificiale e all’intelligenza artificiale. Ma sulle cose che la gente avverte sulla propria pelle, la psicologia non dice niente.

La psicoanalisi – freudiana, jungiana, ecc. – prova a dire qualcosa, ma si tratta sempre di sistemi che fanno, in fondo, delle ipotesi. Tant’è vero che si guarisce con diversi tipi di analisi. Questo vuol dire che ciò che guarisce non è la diversa modalità di analisi, ma qualcosa che accomuna le analisi: che sia per caso il fatto che qualcuno ha la pazienza di ascoltare?!

Comunque, la psicoanalisi ha molto più presente questo problema: non va a studiare i processi di apprendimento e i processi della percezione visiva, perché la gente vuol sapere di sé, del carattere, della personalità, dell’emotività, delle motivazioni.

Visto che la psicologia, sotto questo aspetto, non riesce a trovare niente, ha deciso di darsi una coloritura più scientifica. E cosa ha inventato? Ha inventato la “psicologia evoluzionistica” e la “genetica comportamentale”.

La psicologia evoluzionistica è un tentativo di spiegare la formazione della psiche a partire dalla biologia; la genetica comportamentale consiste nel tentativo di spiegare il comportamento che più ci interessa a partire dai geni, dall’eredità e dall’ereditarietà. Perché la psicologia ha pensato di darsi uno statuto scientifico, cioè un oggetto e un metodo scientifico? Per l’invidia della fisica: la psicologia aveva l’invidia della fisica, l’invidia dell’esattezza della fisica. Questa invidia è stata compensata con il dogma biologico. Anche sotto questo aspetto, i passi fatti non sono un granché.

La psicologia evoluzionistica (si chiama anche socio-biologia), per esempio, ha studiato molto come gli insetti organizzano le loro “società” e i loro “gruppi”; ma dal capire questo allo spiegare il modo in cui gli esseri umani formano i loro gruppi e le loro società c’è ne vuole. A meno che non si faccia un ragionamento del tipo: “l’essere umano è un animale; l’insetto è un animale, perciò possiamo applicare benissimo lo statuto, cioè l’oggetto, il metodo e il linguaggio della psicologia evoluzionistica anche all’essere umano”. Però dobbiamo prima stabilire che l’essere umano e l’insetto, dal punto di vista della psicologia sociale e dei comportamenti, non hanno alcuna differenza, cioè dobbiamo ridurre l’uomo ad animale, ad insetto. Lo possiamo anche fare, ma questo si chiama “dogma riduzionistico”: quando non posso spiegare una cosa complessa, la riduco ad una cosa meno complessa. Se, quindi, riduciamo l’uomo ad animale, ad insetto è chiaro che possiamo spiegare il comportamento umano con la socio-biologia o con la genetica comportamentale, ma il problema è questo: in base a che cosa posso ridurre l’uomo ad insetto o ad animale?

Per questo, dopo aver capito tutte queste cose, ho deciso di chiedere la cancellazione dall’albo degli psicologi, perché, per correttezza, non intendo criticare la psicologia stando in casa sua: fin quando sono iscritto all’albo degli psicologi non mi posso permettere di criticare la psicologia ritenendola una scienza inutile, nel senso che neanche è scienza, se non in quelle parti che vi dicevo prima.

Non trattatemi più come uno psicologo: se volete, trattatemi come psicoanalista, come medico somato-psichico, perché fin quando è il corpo ad agire sulla psiche, allora va bene, ma se è la psiche ad influire sul corpo, si ha una patologia.

Il corpo è nobile, è la testa che è sbagliata. I peccati non sono peccati del corpo, sono peccati della mente, perché il corpo non pecca: è il cervello che è guastato. Quindi, non date la colpa al corpo: la colpa è sempre della psiche, non del corpo, in quanto il corpo è innocente. Tant’è vero che ogni tanto si ammala per non seguire più le fesserie della mente. Il corpo come salvezza dell’anima, il corpo come giusto limite delle aspirazioni umane.