Psicoanalisi 02 del 10.12.1994

La psicopatologia è lo studio delle grosse patologie della psiche. La psicopatologia fa la diagnosi, la psicoterapia fa la cura. Ma si tratta di una cura particolare, cioè fa la cura della psiche attraverso la psiche, non usando i farmaci.

Se per psiche si intende il comportamento, si avrà una psicoterapia comportamentale; se, invece, per psiche si intende la relazione, avremo una psicoterapia relazionale; se per psiche si intende il “profondo”, avremo una psicoterapia a taglio psicoanalitico.

La psichiatria, invece, usa i farmaci.

La psicoanalisi non è una cura, anche se nacque come tentativo di cura. Si può fare una psicoterapia ad andamento psicoanalitico, cioè usando i metodi della psicoanalisi, ma in sé la psicoanalisi non è una cura, bensì un sistema di conoscenza di sé stessi. La conoscenza di sé stessi può mettere in grado di evitare di cadere nelle patologie psichiche e quindi permette di evitare la psicoterapia.

Chi affronta veramente il discorso psicoanalitico – secondo me – quasi sicuramente non avrà bisogno della cura specifica della psicoterapia o farmacologica della psichiatria, perché la psicoanalisi è conoscenza profonda di sé stessi.

Appena sentiamo parlare di psicoanalisi pensiamo subito a Freud, che è solo il fondatore del pensiero psicoanalitico. Tuttavia esistono tanti tipi diversi di psicoanalisi che hanno poco in comune, se non il credere che nell’essere umano ci sia una profondità non direttamente osservabile che alcuni chiamano “inconscio”; ma anche questo è un termine che funziona fino ad un certo punto. La psicologia comportamentista ritiene che l’uomo sia definibile attraverso un arco riflesso di stimolo e di risposta, quindi tutto avviene in superficie, non c’è profondità. La psicoanalisi contesta questa interpretazione della psiche. Per tutti i tipi di psicoanalisi la psiche è profondità. “Psicoanalisi” significa analisi del profondo. Che cosa sia questo profondo è un altro discorso.

In questo senso la psicoterapia è guidata dal modo di intendere la psiche. La psicoterapia comportamentale, per esempio, avrà un metodo diverso dalla psicoterapia con andamento psicoanalitico, perché lo psicoterapeuta, che ritiene che la psiche sia soltanto stimolo-risposta, farà in modo che il comportamento negativo venga sostituito da un altro mediante i sistemi di rinforzo che si usano nella psicoterapia comportamentale. La psicoterapia ad andamento psicoanalitico, invece, parte dalla convinzione che la psiche sia profondità ed userà tutti quei sistemi che possono servire per scandagliare questa profondità.

Quindi, come non tutte le psicoanalisi sono uguali, così non tutte le psicoterapie sono uguali, perché dipende dal concetto che si ha della psiche.

Anche all’interno della psicoanalisi c’è da fare una distinzione notevolissima: c’è la psicoanalisi di Freud, quella di Adler, di Jung, della Klein, ecc., ma l’aspetto comune che unisce tutte le psicoanalisi è la convinzione che la psiche sia profondità. E proprio perché è profondità, bisogna avere gli attrezzi necessari per scandagliare e sondare queste profondità.

Non dobbiamo subito identificare la psicoanalisi con Freud. La psicanalisi freudiana si forma in ambienti culturali ottocenteschi. Tutto l’impianto della psicoanalisi freudiana certamente risente dell’ambiente culturale della seconda metà dell’800, che è un ambiente positivista. Tuttavia ci accorgiamo che, andando avanti col tempo, in Freud si sente qualche accento un po’ diverso da quello strettamente positivista. Siamo ormai nel ‘900, c’è la crisi della scienza, l’insicurezza circa le capacità della scienza di prevedere quindi di dominare il tutto, la convinzione che la scienza lavori mediante i sistemi di riduzione al semplice o al generale. La scienza diventa un discorso astratto. Le opere di Freud risentono di questa crisi della scienza. Tuttavia l’impianto della teoria psicoanalitica freudiana risente certamente del positivismo.

Ho preso dalle sue opere qualche citazione. Dall’opera “Al di là del principio del piacere”: “…l’elemento più importante e più oscuro della ricerca psicologica è costituito dall’istinto…l’istinto è il limite concettuale tra il somatico e il mentale…”; dall’opera “Metapsicologia”: “…lo psichico è il rappresentante delle forze organiche…”; dall’opera “Osservazioni psicosomatiche su un caso di paranoia”: “…le lacune della nostra descrizione probabilmente scomparirebbero se fossimo in grado di sostituire i termini psicologici con quelli fisiologici e chimici; è vero che anch’essi appartengono a un linguaggio metaforico, ma si tratta di un linguaggio – quello chimico e fisico – che ci è noto da più tempo e che forse è anche più semplice…”; dall’opera “Al di là del principio del piacere”: “…in base a lunghe riflessioni diventa verosimile l’ipotesi di due tipi d’istituti corrispondenti agli opposti processi di strutturazione e di destrutturazione dell’organismo: da un lato si hanno gli istituti che operano silenziosamente, alla base, con lo scopo di condurre l’essere vivente verso la sua morte – istituto della morte, o thanatos -, dall’altro lato si hanno gli istinti di vita – libido-eros -: il loro scopo è di formare con la sostanza vivente unità sempre maggiori per realizzare in questo modo la continuazione della vita e per condurla ad un maggior sviluppo…”.

Come vedete si nota prima un’impostazione di tipo biologico, poi ridotta dal biologico al biochimico e al fisico: questa è l’impostazione della teoria della psicoanalisi freudiana. Freud vede la psiche come un sistema con tre facce: una faccia economica (quindi di conservazione di energia), una faccia dinamica (come spostamento di queste energie) e una faccia evolutiva (come un sistema che si sviluppa). Questo è preso dalle certezze scientifiche del tempo: istinti, conservazioni di energie, spostamenti di energie. Tutto ciò che rende difficile gli spostamenti di queste energie provoca la malattia del sistema: se ne ricava un sistema psichico come chiuso in sé stesso (queste sono le affermazioni di Freud, tratte dalle sue opere).

Freud lavora con la scienza del suo tempo, la quale ritiene che tutto ciò che appare è semplicemente un fenomeno di un qualcosa che sta al di sotto del fenomeno stesso. Che cosa è questo “sotto” che sta nell’essere umano? Sono gli istinti: istinto di vita, che porta alla strutturazione, cioè a realizzare unità sempre più complesse e l’istinto di morte che porta, invece, alla destrutturazione, porta verso la morte.

L’essere umano è solo un pezzo di realtà che viene spinto da queste forze della vita e della morte. Quindi non conta l’essere umano, non conta preso singolarmente: l’essere umano deve essere preso come un epifenomeno, cioè come una manifestazione di questi principi (l’istinto di vita e di morte: eros, che porta alla propagazione della specie, thanatos, che porta all’estinzione della specie). Questi due istinti, poi, si combinano tra loro. Per cui, alcune volte nell’istinto di vita compare anche l’istinto di morte e viceversa, ma l’essere umano non ha altra valenza se non quella di essere il portatore di questi due istinti. Quindi la storia di ognuno di noi non ha più senso: il biografico, lo storico, tutto ciò che è storia nostra viene ridotto al biologico, allo sviluppo della specie e tutto ciò che è biologico viene ridotto a ciò che è fisico e a ciò che è chimico (“positivismo” dell’800).

Freud non ce la faceva a venir fuori dall’impostazione generale di una scienza che, in questo modo, lavorava con l’astrazione. Per “astrazione” non si intende l’invisibile, ma il togliere una parte dal contesto: se una parte viene tolta dal contesto si dice “astratta”, perché presa da sola non ha più senso, ha senso solo se è nel contesto.

La teoria psicoanalitica di Freud è astratta, perché si allontana dalla manifestazione immediata della vita di ogni essere umano. La vita di ogni essere umano non è né chimica, né biochimica, né biologia, ma è storia e biografia; quando di un essere umano si nega la storia e la biografia, si distrugge l’essere umano e al suo posto si ha l’idea astratta di uomo-natura. Cioè, al di là delle manifestazioni storico biografiche dell’essere umano, rimane la chimica e la fisica. Freud, nella sua teoria, ha sacrificato il biografico e lo storico al biologico, al chimico e al fisico, per cui l’uomo è un sistema idraulico di pressioni, di scariche e di cariche. L’uomo-natura è un’astrazione dalla concretezza, perché la concretezza è la nostra storia e biografia.

In teoria, sottovalutare il biografico-storico significa non cogliere l’uomo concreto, ma cogliere un’idea astratta di uomo: uomo-natura, cioè l’uomo che fa di fisica e chimica un sistema economico, un sistema di conservazione di energie, un sistema di idraulica.

Freud apprese l’economia psichica dallo psicofisiologo Fechuer, che poi diventò suo seguace; il concetto di “profondo” lo apprese da Vermich, uno psichiatra del tempo, il quale riteneva che la coscienza è l’epifenomeno, cioè la secrezione delle parti corticali; gli istinti, invece, sono la secrezione delle parti sub-corticali, cioè delle parti poste sotto la corteccia cerebrale.

Dunque, l’analisi del profondo consiste – secondo Freud – nell’andare ad esaminare le zone sub-corticali, perché di lì vengono fuori gli istinti (epifenomeni delle zone sub-corticali).

Questa è una riduzione spaventosa, un’astrazione: tutto ciò che si manifesta merita di essere preso in seria considerazione: non si può dire “questo non vale”, “questo non conta”, “riduciamo tutto all’idea di uomo-natura”.

Come giunge Freud all’inconscio? Tutte le psicoanalisi hanno in comune il concetto di psiche come profondità. Questa profondità Freud la chiama “inconscio”. Ma, anche tra i freudiani, non tutti intendono allo stesso modo l’inconscio. Lacan, per esempio – uno degli ultimi freudiani, un francese che ha ripreso Freud – vede in maniera diversa l’inconscio. L’inconscio non è la composizione dei rimossi (secondo Freud il “rimosso” è tutto ciò che viene staccato, è l’emozione staccata da un fatto, quindi rimossa dal campo della coscienza, mandata in questa profondità che Freud chiama inconscio). Le emozioni sono cariche libidinali. La libido è l’energia vitale che accompagna ogni atto che facciamo, ogni situazione che viviamo; è costituita di un fatto e di un’emozione che l’accompagna. Quando questo fatto che ci succede è traumatico, o non è conforme alle leggi e alla morale che abbiamo – dice Freud – stacchiamo il fatto dall’emozione, perché l’emozione ci farebbe soffrire. Siano capaci quindi di ricordare anche il fatto, ma senza l’emozione connessa. Principio di conservazione dell’energia: l’emozione legata al fatto non può sparire nel nulla, ma dev’essere conservata e viene conservata nel proprio inconscio. Quindi l’inconscio è quel calderone in cui ribollono tutte le emozioni rimosse, in quanto sono state staccate dal fatto. Proprio perché sono cariche energetiche, quindi misurabili e quantificabili, possono essere prese a pezzi, a chili, a grammi, essere staccate, riportate su ed essere investite in altri fatti. Per cui è possibile che io (il mio sistema psichico, che è inconscio) leghi, secondo Freud, un’emozione rimossa dal campo della coscienza (libido) e la investa in un altro oggetto. Sono energie perfettamente spostabili, sono delle cariche che possono essere investite in un campo o in un altro, secondo la teoria freudiana.

Come si arriva a questo inconscio? Leggiamo qualche passo da qualche sua opera: “…dietro le proprietà e le qualità dell’oggetto di indagine che sono date direttamente alla nostra percezione c’è qualcos’altro di più indipendente della particolare facoltà recettiva del nostri organi di senso e più prossimo al reale stato di cose congetturato”. Dall’opera “Compendio di psicoanalisi”: “…da una parte l’organo materiale, il cervello e lo scenario in cui quest’ultimo svolge la sua attività, dall’altra i nostri atti coscienti: solo queste due cose ci sono state date dalla vita psichica”.

Così vengono fuori le due ipotesi fondamentali della psicoanalisi: “…la vita psichica è la funzione di un apparato al quale attribuiamo la proprietà di essere esteso nello spazio e composto di più parti. Tale ipotesi dell’inconscio è necessaria, perché i dati della coscienza sono molto lacunosi, nei sani non meno che nei malati. Si verificano spesso atti psichici che possono essere spiegati solo presupponendo altri atti che non sono testimoniati dalla coscienza. Gli atti della coscienza restano quindi slegati e incomprensibili se ci ostiniamo a pretendere che ogni atto psichico che compare in noi debba essere sperimentato dalla coscienza, mentre si organizza una connessione estensibile se l’interponiamo con gli atti inconsci di cui abbiano ammesso l’esistenza”. Cioè – dice Freud -, noi abbiamo degli atti coscienti che sono slegati l’uno dall’altro e di questo non ci sappiamo rendere conto (sto facendo una cosa, poi per disattenzione ne faccio un’altra). Ma è possibile – dice Freud – che una realtà si presenti slegata? Si, perché un principio fondamentale della scienza del tempo era il concetto di “pieno” – non era ammesso il concetto di vuoto – ed il pieno è regolato dall’azione di causa ed effetto. Quindi se non riesco a trovare negli atti coscienti un rapporto di causa ed effetto, non ho alcuna spiegazione. Io spiego le cose solo quando trovo un rapporto di causa ed effetto: il rapporto di causa ed effetto ci dev’essere per forza. Ma d’altra parte, negli atti coscienti, non vedo questo rapporto. E allora dove situarlo? In una realtà più profonda, che sfugge alla nostra osservazione e che si chiama “inconscio”. Se è inconscio non lo puoi né vedere, né conoscere, non hai gli strumenti per vedere l’inconscio, puoi soltanto ipotizzare la sua presenza; ha, cioè, una valenza euristica, è una trovata che serve a risolvere il problema del rapporto stretto di causa ed effetto che era proprio della scienza del tempo (‘800). Poiché negli atti coscienti molto spesso questo rapporto non c’è, allora deve stare sotto. Quando non riesco a trovare la causa di una realtà che è a me manifesta, io impazzisco, perché questa realtà che osservo deve avere per forza una causa, la devo trovare a tutti i costi.

Ecco come questa ossessione della ricerca delle cause, nella psicoterapia ad andamento psicoanalitico freudiano, consiste nell’andare sempre all’indietro per trovare le cause di tutti gli atti coscienti che si presentano slegati. Perché fino ai 7 anni ho fatto così e dopo i 7 anni ho fatto in un altro modo? Non c’è rapporto tra la vita fino ai 7 anni e dai 7 ai 14 anni! Allora, se non c’è rapporto tra la vita cosciente che ho avuto, questo rapporto deve stare al di sotto. Quindi l’inconscio non è osservabile e a volte corre il rischio di diventare una bella parola, una bella trovata, in modo tale che ci sia sempre una realtà che è sempre effetto e una realtà che è sempre causa.

Queste sono le due ipotesi fondamentali della psicoanalisi freudiana. “…la vita psichica è la funzione di un apparato al quale attribuiamo la proprietà di essere esteso nello spazio e composto di parti…”. Freud ragiona proprio alla maniera della scienza dell’ottocento, che aveva un impianto cartesiano. Cartesio parlava di “res extensa” e “res cogitans”. La “res cogitans” è il pensiero (questa “res cogitans” aveva, secondo Freud, una sua autonomia, che, nella scienza dell’800, ha poi perso per diventare solo una funzione dell’apparato fisico); la “res extensa” era estesa, fatta di parti senza vuoti.

La vita psichica è la funzione dell’apparato (inconscio) al quale attribuiamo le proprietà di essere estesa nello spazio e composta di più parti.

Molto spesso ci si accorge che nella vita cosciente ci sono dei vuoti, dei buchi, ma questi non possono essere reali, altrimenti la “res extensa” non sarebbe più extensa: avremmo dei vuoti, dei buchi, del nulla di mezzo e non ci sarebbe più coerenza negli atti coscienti. Alla base della vita cosciente ci saranno certamente rapporti strettissimi di causa ed effetto. Cosi l’inconscio diventa un’ipotesi necessaria. Ma perché l’ipotesi è necessaria? È necessaria solo se uno pensa che la vita psichica sia la funzione di un apparato estesa nello spazio e nel tempo. Se si ha questa idea della vita psichica è chiaro che si deve ammettere che l’inconscio sta al di sotto di tutti i nostri atti coscienti. Se si è fissati del rapporto di causa ed effetto, ogni volta che mi si presenta qualcosa, negli atti coscienti, che sfugge a questo rapporto, dovrò presumere che sotto ci sia un supporto, una realtà che fa da base e che permette alla vita cosciente di essere frastagliata, fissurata, anche se la “stoffa” sotto è integra ed è quella che Freud chiama “inconscio”.

L’inconscio, quindi, non è qualcosa che Freud ha osservato direttamente, ma solo un’ipotesi, poiché l’impostazione della sua scienza è di tipo cartesiano-positivista.

DOMANDA: “Che cosa sono gli istinti per Freud?”

RISPOSTA: Quando si parla di istinti è chiaro che si rientra in una concezione dell’essere umano ridotto a fisica, chimica e biologia.

Gli esseri umani, i sentimenti, gli affetti sono, secondo la sociobiologia (che ha ripreso queste tesi ormai morte), una “strategia del gene”, cioè il gene usa queste strategie (l’innamoramento, il volersi bene, la fedeltà) quando servono. Tutto quello che voi fate è strategia del gene.

Gli istinti, così come vengono considerati da Freud, sono delle forze primordiali che costituiscono l’apparato psichico, l’apparato organico e che spingono l’essere umano a vivere e a morire. Ma non è l’essere umano a decidere. L’istinto di morte si spiega secondo una legge di fisica, il principio dell’entropia, per cui ogni sistema tende a raggiungere uno stadio sempre più probabile, cioè meno energetizzato. Se questa è una legge della natura fisica, l’essere umano, che è natura chimica e fisica, non può sfuggire a questa legge (questo è l’istinto di morte).

Voi pensate che il principio dell’entropia, per cui ogni sistema tende a raggiungere uno stadio sempre più probabile, più facile, cioè meno energetizzato, è il principio che sta alla base, per esempio, della formazione della tavola degli elementi chimici. Il secondo principio della termodinamica è entrato in tutte le scienze ed entrò in quel periodo anche nella psicoanalisi freudiana attraverso la psicofisica di Fechuer.

Il secondo principio della termodinamica, se applicato a tutto l’universo, dovrebbe portare ad un massimo d’entropia dell’universo, per cui tutto dovrebbe appiattirsi e la vita dovrebbe finire. Ora, siccome la psiche dell’essere umano è soprattutto fisica e chimica, l’istinto di morte non è altro che l’applicazione di questo secondo principio della termodinamica.

Se l’apparato psichico è chiuso in sé stesso ed è regolato soltanto da queste due leggi, l’inconscio è ciò che permette la spiegazione causale di tutta l’esistenza umana.

Ci sono alcuni termini della psicoanalisi che molto spesso usiamo (“proiezione”, “transfert”, “conversione”): questi termini vengono usati spesso, ma non viene colta la difficoltà di intendimento.

La proiezione è un meccanismo attraverso il quale un sentimento ostile viene trasferito all’esterno, su un’altra persona. Il sentimento di ostilità che, per esempio, uno ha dentro di sé, lo trasferisce su un’altra persona e ne fa un tutt’uno con l’altra persona, tanto che chi fa questa operazione – non sappiamo come – alla fine si convince che questa ostilità stia veramente fuori di sé, cioè ci si convince che sia veramente l’altro ad essermi ostile.

Come si può concepire tutto questo? Se il sistema psichico è un sistema chiuso, come fa questo sentimento ostile ad uscire e ad essere applicato ad un altro?

L’apparato psichico ha a che fare con oggetti reali o con oggetti interni? Stando a ciò che dice Freud ha a che fare con oggetti interni e non può uscire fuori di sé. Ma questi oggetti interni come si formano? Un altro mistero. Se invece dico che c’è un inconscio allora è possibile che ciò che la coscienza non può fare, cioè portare un sentimento ostile fuori di sé, l’inconscio lo può fare. Tuttavia in questo caso si va incontro ad un’altra confusione: che l’inconscio è unico, che abbiano un solo inconscio. Questa è la confusione a cui arrivò Jung, amante dell’inconscio collettivo.

Il transfert è un’emozione connessa ad un fatto traumatico vissuto nei rapporti coi genitori: una volta rimossa viene poi trasferita e rivissuta nei rapporti tra il paziente e l’analista. Le emozioni sono delle quantità energetiche che io stacco da me e appiccico ad altri. Come fa l’essere cosciente a fare questo? Non lo fa! Solo l’inconscio lo può fare. Come avviene la somatizzazione, o conversione? Io sento la mia vita rattrappita, ristretta, che manca di respiro: questa sensazione diventa uno stato di asma, o dispnea. Questo si chiama conversione, o somatizzazione. Come avviene questo passaggio? Secondo Cartesio avveniva attraverso la ghiandola pineale (l’epifisi). In quella ghiandola – dice Cartesio – c’è il passaggio tra lo psichico e il somatico.

Freud, invece, ha una teoria vera e propria: l’inconscio.

Questa è la teoria di Freud. Nella sua teoria, Freud descrive una natura umana astratta dal biografico e dallo storico, che ha perso il meglio dell’umanità (rimane solo il fisico e il chimico).

Fortunatamente Freud nella sua pratica psicoanalitica non era così: lavorava con l’uomo globale e queste astrazioni lo interessavano pochissimo. Non so se la sua teorizzazione l’abbia fatta per pagare il tributo alla scienza accademica del tempo, perché difatti nella prassi si distacca completamente da queste cose. Vi leggo, a tal proposito, le sue parole, tratte da “Nuovo compendio di psicoanalisi”: “…evidentemente nozioni come quelle di “libido dell’io”, “energia delle pulsioni” e così via, non sono né particolarmente perspicue, né abbastanza ricche di contenuto”. Sono parole sue, in cui rimpiange il fatto che la sua teorizzazione non abbia ricchezza di contenuto e sa bene che ha perso il biografico e lo storico per ridurre tutto a “libido dell’io”, ad “energia delle pulsioni”, a “spostamenti di quantità energetiche”.

“È appunto questa, io credo, l’unica differenza tra una teoria speculativa – quella che ha già tutto chiaro – e una scienza fondata sulla interpretazione empirica: quest’ultima non invidierà alla speculazione la sua prerogativa di fondarsi su nozioni precise e logicamente inattaccabili, al contrario, una scienza fondata sull’interpretazione empirica si accontenterà di buon grado di alcuni sfuggenti e nebulosi principi di fondo, sperando che essi si chiariscano strada facendo e ripromettendo di sostituirli eventualmente con altri…”. Con questo Freud vuole dire che quello che ha scritto non è per niente chiaro, non è una teoria speculativa, sono principi nebulosi, appena abbozzati. Dice nello stesso passo: “…è come se fossero il tetto di una casa: il tetto lo puoi togliere, la casa non crolla”, cioè sono princìpi con funzione di copertura. L’idea di copertura fa pensare al tributo che Freud ha dovuto pagare all’ambiente scientifico del tempo per essere accettato nel mondo accademico. “…nebulosi principi di fondo…”: non c’è niente di dogmatico nella sua teoria.

Purtroppo, molti suoi seguaci hanno preso la teoria freudiana e l’hanno imbalsamata. È quella che noi spesso sentiamo: istinti, pulsioni, libido dell’io, narcisismo, transfert, proiezione, conversione, nevrosi isterica; ormai sono termini che fanno parte della psicoanalisi divulgativa. Questa non sa che Freud, dopo aver scritto la sua opera teorica, ha detto che in realtà non si tratta di una teoria, ma solo di un’interpretazione clinica, cioè fondata sull’esperienza che costituisce il tetto della psicoanalisi freudiana: può darsi che si tratti di principi nebulosi che domani bisognerà cambiare.

Per questo non mi sento in dovere, se voglio essere psicoanalista, di seguire Freud a tutti i costi: lui stesso mi dice che parecchie sue teorie possono essere superate.

Punto comune della psicoanalisi: l’essere umano non sta nel circolo stimolo-risposta, ma la psiche umana è soprattutto profondità, che Freud chiama “inconscio” e che identifica nella maniera che ho detto.

tifica nella maniera che ho detto.