Psicoanalisi 09 del 20.04.1998

Che cos’è l’apocalisse? L’apocalisse non è la fine. La parola “apocalisse” vuol dire “rivelazione”. il libro dell’’“Apocalisse” non riguarda le cose ultime in senso cronologico, non parla della fine del mondo. L’“Apocalisse” è rivelazione delle cose ultime, ma ultime nel senso di prime. Che cosa vuol dire “prime”? Rivelazione delle cose prime, cioè di quelle che stanno alla base, tenendo presente che tutta la concezione della Sacra Scrittura si basa sulla differenza sincronia/diacronia.

Diacronia: il passaggio attraverso diverse tappe nel tempo.

Sincronia: cogliere il tutto in un istante, in un minuto, con un intenzione, capire le strutture di fondo.

L’“Apocalisse”, allora, ci svela le cose di fondo e, come il libro del “Genesi” – che non è un libro storico, ma mitico e ironico -, ci spiega perché l’essere umano si comporta sempre allo stesso modo.

Ecco perché i due libri – Genesi e Apocalisse – si richiamano, perché ambedue hanno la funzione di spiegare il perché della Storia, di spiegare le leggi di struttura, di base che ci permettono di capire perché le cose vanno in un determinato modo. L’“Apocalisse”, quindi, non spiega le cose ultime in senso cronologico, in senso dinamico, ma le cose ultime in senso sincronico, cioè ciò che sta sempre alla base.

L’“Apocalisse” prende spunto dalla situazione della Chiesa nel momento in cui il libro fu scritto (era il periodo delle persecuzioni). L’evangelista Giovanni cerca di far capire la ragione della persecuzione, in quanto la persecuzione è una componente strutturale di tutta la vita della Chiesa, perché non c’è un periodo di tempo in cui non c’è persecuzione. È erroneo ritenere che la persecuzione sia esistita solo al tempo dei romani. La Chiesa, il Cristianesimo, la fede è sempre in una situazione di martirio, di persecuzione; perciò, tutte quelle figure dell’“Apocalisse” (il drago, ecc.) sono figure mitiche, sono archetipi che rappresentano la lotta tremenda tra il Bene ed il Male, che è sempre presente, in qualsiasi tempo. L’“Apocalisse”, quindi, non svela le cose future.

Purtroppo l’uso che è stato fatto di questo libro è un uso improprio, quasi che l’“Apocalisse” volesse svelare le cose che devono succedere alla fine. Esso spiega perché le cose vanno così, quindi è bene rileggere l’“Apocalisse” in questa maniera per farvi capire l’attualità del libro.

È attuale perché? Perché la struttura la struttura della Chiesa continua sempre ad essere la stessa. Guai a trascurare l’“Apocalisse”! Se si trascurasse l’“Apocalisse” non si capirebbe più la storia della Chiesa.

Riprendiamo la definizione di psicoanalisi. La psicoanalisi, vi spiegai, è l’analisi della psiche; la psiche è il rapporto io-mondo; analisi significa sciogliere, sciogliere il rapporto io-mondo, sciogliere quella che noi chiamiamo “relazione”. La relazione io-mondo è la relazione che ci fa dannare continuamente. Vi parlai della relazione, concetto molto difficile, perché viene usato in senso molto improprio. Spesso si scambia la relazione con il rapporto. I rapporti sono una cosa, le relazioni sono un’altra cosa. Per esempio, uscendo di casa incontro una persona ed entro in rapporto con quella persona; voi venite qui, stasera, ed instaurate dei rapporti tra di voi, vi incontrate nello stesso banco, state con persone che prima non conoscevate ed entrate in rapporto, non in relazione. Invece molto spesso si usa la parola “relazione” al posto di “rapporto”.

La relazione è un fatto molto particolare, molto significativo, molto complesso. Ha a che fare con l’innamoramento: quando ci si innamora, si entra in relazione. La parola “relazione2 deriva dal verbo latino “refero”. Per capire meglio, pensiamo a quando diciamo: “abbiamo bisogno di un punto di riferimento”. Cos’è il punto di riferimento? È un punto indiscutibile, un punto primo con il quale noi entriamo in relazione, perché è proprio questo punto primo a definirci, a darci una caratteristica. Oggi non ci sono più punti di riferimento, cioè non ci sono più punti di relazione. Quando non ci sono più punti di riferimento e di relazione entriamo in uno stato di sbandamento. Quando una persona con cui siamo entrati in relazione ci abbandona, ci sentiamo persi, perché diciamo a quella persona: “tu sei il senso della mia vita e proprio perché ho perso il senso della mia esistenza, si è rotta questa relazione ed io mi sento sbandato”.

Se io, per esempio, domani non vedo più uno di voi, non entro in crisi. Allo stesso modo, se voi domani non vedete più me, non entrate in crisi – mi auguro. La relazione ha proprio questo aspetto di riferimento assoluto, perché proprio quel punto, quella persona, quell’assoluto che mi definisce, mi fa esistere, dà il senso alla mia esistenza. Questa è la relazione, il resto sono tutti rapporti. Se, invece, un figlio non ancora maturo, un giorno non vede il padre o la madre, entra in uno stato di crisi, perché ha perso il punto di riferimento, ha perso la relazione perché è questo punto assoluto che gli dà la sua identità, lo certifica. Lo certifica nel senso che lo rende certo della sua esistenza, lo rende certo del suo valore, gli dà quello che a lui manca perché, se fosse un assoluto non andrebbe a cercare un punto di riferimento.

L’unica relazione possibile è quella con Dio. Non è Dio che sta in relazione con noi, ma noi stiamo in relazione con Dio, perché lui è l’Assoluto.

Il rapporto – ripeto – è diverso dalla relazione. Il rapporto è questo mettersi uno di fronte all’altro, alla pari. A volte può accadere che entriamo in relazione con alcune persone, perché vediamo in queste persone delle qualità assolute. In seguito, possiamo capire che abbiamo sbagliato e allora entriamo in una situazione di rapporto con queste persone, non più di relazione. La relazione ha bisogno, per esistere, di un punto assoluto, un punto di riferimento che ti certifica, che ti rende certo, che ti da la tua identità.

L’innamoramento è la relazione tipica. Nell’innamoramento ci si trasferisce completamente nell’altro, perché si ritiene che la persona scelta come punto di riferimento sia capace di darci quello che non abbiamo. L’innamoramento è sempre a senso unico: non mi posso innamorare di una persona se so che poi questa persona ha bisogno di me, perché se io avessi il minimo sospetto che la persona di cui mi innamoro possa aver bisogno di me, entrerei in uno stato di confusione, non sarebbe più per me un punto di riferimento. Questa è la crisi delle pseudo-relazioni, perché poco dopo essermi messo con una persona, che ritengo perfetta, che mi deve certificare, che deve dare il senso alla mia vita, mi accorgo che quella persona cerca le stesse cose da me e allora si comincia a dire: “ma io non pensavo che tu fossi così”; oppure il figlio al padre o alla madre: “sei cattivo”, “sei cattiva”. Frasi tipiche. Quando il figlio o la figlia incomincia a scoprire i primi difetti del genitore, comincia la tragedia, perché finisce la relazione.

Quindi la relazione si instaura sempre con un punto di riferimento assoluto. Soltanto se questo punto di riferimento, questo principio è agli occhi miei come un qualcosa di completo, di perfetto, entro in relazione. Altrimenti non entro in relazione e, se ci entro, farò finta di stare in relazione, pur sapendo che in fondo c’è un imbroglio.

Il rispetto è nel rapporto non nella relazione. Nella relazione c’è la ricerca di punto di riferimento.

Purtroppo quando si entra in relazione, si entra inizialmente in uno stato di innamoramento. Dopo si capisce che non è così. Per il figlio, riprendendo l’esempio di prima, il padre e la madre sono, in un primo momento, persone perfette. Per questo sta in relazione con loro. Quando comincia a scoprire i primi difetti, i primi limiti dei genitori, cominciano i primi problemi, non sta più in relazione ed allora deve stabilire un rapporto di rispetto. È tremendo, però, passare dalla relazione ad un rapporto che in un primo momento è certamente conflittuale, ma che dopo sarà sicuramente di rispetto – un punto di equilibrio da raggiungere con molta fatica.

La relazione dice punto di riferimento. Quando è punto di riferimento è scontato che sia completo, assoluto, perfetto, mancante di nulla.

L’innamoramento, in realtà, è un fatto unidirezionale, nel senso che la persona di cui mi innamoro o con cui entro in relazione, per me è perfetta, è assoluta. Quando l’altra persona fa lo stesso si scopre l’imbroglio e cominciano i guai. Nell’innamoramento ognuno cerca nell’altro ciò che a lui manca. Poiché l’altro ha una qualità che ci manca, allora ci si lega a quella persona, perché vediamo in lui una qualità assoluta. Quando, invece, ci si rende conto che questa assolutezza non c’è, allora incomincia la crisi. Si parte, quindi, sempre da un punto di riferimento assoluto. Dopo si scopre che quelle qualità assolute non ci sono.

Nella relazione ci leghiamo sempre con qualcosa di assoluto. È chiaro che non credo nella relazione fra gli uomini, perché l’unico assoluto sappiamo che è l’Assoluto. Quando trasferisco le qualità dell’Assoluto su un’altra persona, cominciano i dolori.

Qualcuno potrebbe dire: “Questi rapporti con gli altri non sono arricchenti?”

È una domanda molto significativa. È vero che il rapporto con gli altri ci arricchisce?

Il problema sta nel capire cosa si intende con la parola “arricchire”. Non potete immaginare che vespaio di discussioni si apre con la domanda: “Arricchisce il rapporto con gli altri?” Si apre un dibattito filosofico che dura da 2500 anni – per quanto riguarda lo scritto; non si sa da quanto tempo discutevano di queste cose. Che significa “arricchire”? È un dibattito filosofico di vecchia data, aperto tuttora, con degli apporti, oggi, notevolissimi. Si tratta delle due diverse concezioni della mente umana.

Come è fatta la mente umana? La mente è una “tabula rasa” – come diceva Aristotele – che riceve dall’esterno stimolazioni che l’arricchiscono? Oppure la mente è una struttura già dotata di tutte le capacità, per cui gli stimoli esterni servono soltanto a far reagire ciò che già sta all’interno? Platone diceva che la mente umana non è una tabula rasa: la mente umana – diceva Platone nella sua mitologia – prima di essere gettata sulla terra viveva in un mondo perfetto, il mondo delle idee. Quando questa mente umana si incarna, entra in un corpo, ha già una sua struttura completa con tutte le sue idee; per cui – diceva Platone – l’essere umano non “conosce”, ma “riconosce” ciò che ha già conosciuto. Quindi, secondo questa tesi, quando io vedo una persona, non la conosco ex novo, ma quella persona è per me soltanto l’occasione per risvegliare il suo ricordo. Non c’è, quindi, un arricchimento: vado a ricordare l’idea di uomo, l’idea di donna.

In contrapposizione, Aristotele, già allora diceva che la mente umana è una tabula rasa, una specie di tavoletta di cera dove ognuno, prendendo dall’ambiente, incide i propri segni. In questo caso si può parlare di arricchimento, perché – secondo Aristotele – si prende dal  di fuori e si mette dentro.

Secondo Platone io mi arricchisco solo perché c’è qualcuno fuori che mi dà l’occasione per risvegliare in me una presenza – innata – di tutto un mondo di idee; quindi l’altro non mi arricchisce, sono già ricco: l’altro – il rapporto con gli altri – mi dà solo l’occasione di prendere coscienza della mia ricchezza.

Andando più avanti nel tempo – 1600-1700 – si incontrano altri contributi a tale dibattito. Così gli empiristi inglesi – Hume, Locke, ecc. -, dicevano che la mente è una tabula rasa, che ci arricchiamo dall’esterno. Cartesio, invece, diceva che le idee sono innate.

Come vedete è una storia che va avanti e che non è ancora finita, perché anche oggi il dibattito è accesissimo. Fino a 10-15 anni fa prevaleva una concezione – diciamo – scientifica della mente, secondo cui la mente si arricchisce di elementi che vengono dall’esterno. In questi ultimi vent’anni sono andati avanti molto bene studi della mente e del cervello che hanno ribaltato quella vecchia concezione secondo cui ci arricchiamo prendendo elementi dall’esterno. Gli elementi dell’esterno servono soltanto a capire, a conoscere meglio la ricchezza interiore, profonda della mente e del cervello. A seconda che si tratti di scienziati materialisti o non materialisti si parla di “cervello” o di “mente”.

A questo proposito c’è un ulteriore progresso. Un libro di un matematico e fisico inglese, Roger Penrose, pubblicato da Cortina Editore ed intitolato “Il grande, il piccolo e la mente umana”, tratta proprio di queste tematiche. L’autore riconosce giustamente – da matematico e fisico – che il mondo della matematica (e quindi il mondo platonico delle idee) ha una sua autonomia rispetto al cervello. In questa fase vi sono ampi, profondissimi studi del cervello che scalzano quella concezione riduzionista della mente, quella concezione che vede la mente soltanto come una formazione dovuta all’apporto esterno, per optare per una concezione della mente come di un qualcosa di autonomo, di già strutturato.

In questa prospettiva, il rapporto con l’esterno ha solo la funzione di stimolare, di far conoscere la propria ricchezza, non è più l’altro che arricchisce. Sta cambiando, quindi, tutta la prospettiva. C’è un neurofisiologo italiano, Michael S. Gazzaniga, che ora insegna ad Harvard, che ha scritto un bel libro, “La mente della natura”, edito da Garzanti, in cui l’autore parla proprio del cervello umano tra ereditarietà e ambiente. Insomma, si sta abbandonando quella concezione della tabula rasa e dell’arricchimento dall’esterno.

Ci sono tre sottosistemi che formano il sistema “uomo”.

C’è il sottosistema che parte dal sistema nervoso periferico, centrale e dalla mente: questo è il “sottosistema cognitivo”, perché ci mette in rapporto con l’esterno. Poi c’è il “sottosistema neuroendocrino”. Ed infine il “sottosistema immunitario”. Questi tre sistemi sono correlati fra di loro. Si stimolano, si aiutano, ma si danneggiano anche reciprocamente. Il sistema cognitivo, il sistema nervoso periferico serve a ricevere stimoli dall’esterno; gli stimoli arrivano al midollo spinale, vengono spinti prima nella parte linfica del cervello, poi verso la corteccia cerebrale dove vengono elaborati. Tutto questo sottosistema cognitivo ha anche un’altra interfaccia – l’interfaccia delle figure parentali -, perché noi non conosciamo soltanto attraverso gli stimoli che ci vengono dall’esterno, ma anche attraverso ciò che i nostri “parentes” ci dicono (“parentali”, dal verbo “pareo”, che vuol dire generare). Non soltanto i genitori carnali ci generano, ma tutti quelli che volta per volta abbiamo avuto come maestri, come persone che ci hanno segnato, che ci hanno insegnato. Questa modalità di legame con le figure parentali si chiamano “innamoramento” e proprio le figure parentali, i genitori, i maestri danno una mano forte, un contributo necessario alla formazione del sistema cognitivo; questo si deve servire anche del sistema nervoso centrale e periferico. Una volta che ho conosciuto devo reagire: a questo punto entra in funzione un altro sottosistema che è quello [neoendocrino], che dipende da alcune parti del cervello: l’ipotalamo, ecc. Questi organi producono degli ormoni – adrenalina, serotonina, [adopomonina], [cidefanina] – che devono provvedere a mediare la risposta che do verso l’ambiente esterno. Quindi tutta l’attività dell’essere umano sta nel difendersi dall’ambiente esterno, nel rispondere all’ambiente esterno, nel far in modo che l’ambiente esterno non mi procuri danno.

Questi due sottosistemi stanno, però, sotto la supervisione del sistema immunitario, che deve impedire l’entrata nel mio organismo di corpi estranei che possano danneggiare tutto. A sua volta questo sottosistema [neoendocrino] sta pure in relazione con il sistema immunitario, per cui, per esempio, se si danneggia la porzione anteriore dell’ipotalamo – importante perché svolge attività [neoendocrine] -, il sistema immunitario non produce più i linfociti. Quindi l’uno con l’altro si aiutano, ma si fanno anche i dispetti. Tutta questa struttura è importante, perché mi deve aiutare ad affrontare l’ambiente esterno. Stiamo sempre a lottare con l’ambiente in cui ci troviamo.

Questa lotta con l’ambiente ci arricchisce, perché ci fa scoprire delle ricchezze che abbiamo già dentro di noi.

Ci sono, quindi, due visioni: selezione oppure formazione; cioè le mie capacità vengono formate dall’esterno, oppure l’ambiente esterno seleziona capacità che io ho già dentro di me.

Oggi la comunità scientifica è prevalentemente propensa ad accettare questa concezione non formativa – la mente non si forma dall’esterno, non siamo una tabula rasa -, ma selettiva, per cui l’ambiente esterno serve a selezionare.

Devo affrontare l’ambiente prima con il sistema cognitivo, poi con il sistema [neoendocrino] – per regolare e scegliere la risposta migliore. Con il sistema immunitario, poi, devo affrontare gli “stressori”, gli stimoli stressanti che mi vengono dall’esterno.

È chiaro che le figure parentali fanno parte del mio sistema cognitivo perché mi aiutano a riconoscere, anche tramite il sistema nervoso centrale e periferico, gli stressori che mi vengono dall’esterno. Ecco perché io mi innamoro di quelli che mi danno il senso della mia esistenza, mi fanno capire quali sono gli stressori che stanno fuori di me e da cui mi devo guardare. I problemi con le figure parentali nascono quando queste figure – che dovrebbero aiutarmi a capire e a dare una risposta migliore agli stressori che mi vengono dall’esterno – diventano esse stesse fonte di stress. Questo accade quando finisce la relazione e comincia un rapporto stressante con le figure che io ho scelto proprio perché mi dovevano dare l’occasione per difendermi meglio dall’ambiente esterno. Ecco perché nella relazione si cerca sempre un punto di riferimento, qualcuno che non vi procuri stress. Lo stress è un fatto positivo, perché funge da selettore delle mie capacità. Se questi stressori, però, sono sempre in funzione, cioè se devo stare sempre a produrre adrenalina, [adopomonina], [acidrefolina] ed altro, è chiaro che un’alta produzione di queste sostanze va a bloccare il sistema immunitario, per cui mi prendo il tumore o l’ulcera. Quando le figure parentali, che dovrebbero darmi una mano, diventano motivo di stress, allora ti arrangi. Beati i soli, perché per loro il regno dei cieli già comincia sulla terra.

È chiaro che tutti questi fattori producono disturbi clinici, come mania, depressione, ansia, ecc. Questo per farvi capire come la scienza si sta orientando verso una concezione olistica – cioè totale – dell’essere umano, come un sistema che ha in sé tutte le capacità. Non viene “formato”, ma è un sistema già strutturato: l’ambiente esterno ha solo il compito di selezionare tutte le capacità che ha dentro. Il rapporto con l’ambiente o con gli altri non ci arricchisce, ma ci stimola soltanto a scegliere, a mettere meglio a punto tutte le nostre capacità. Questa è l’ultima voce della scienza. Onestamente, non avevo bisogno dell’apporto della scienza, perché queste sono cose che mediante il ragionamento filosofico si riescono a comprendere (per fortuna anche la scienza, pur se lentamente, ci arriva).

Qualcuno dice in giro che io sarei contrario al matrimonio! Io non sono contrario al matrimonio: sono contrario al mio matrimonio. Non sono contrario a questo rapporto strano, che viene inteso inizialmente come relazione, quindi come rapporto conflittuale, infine come rapporto di stima. Non mi dovete impedire – mentalmente – di valutare diversamente le cose, di non pensare che le cose abbiano lo stesso grado di bontà. Può essere che una cosa sia migliore dell’altra! Questo me lo dovete concedere e dicendo questo mi sento in buona compagnia, in quanto non sono cose che vengono dalla mia testa. San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, dice: “Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna” (1 Cor 7,1). Poi dice: “Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così. Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!” (1 Cor 7,25-31).

“…quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero…”, non che ci si prende pure un’altra! Perché i recidivi non meritano di stare nemmeno all’inferno, meritano di stare all’asilo infantile. Continua S. Paolo: “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni” (1 Cor 7,32-35).

Gesù, pure, dice: “Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca” (Mt 19,12).Per cui non ho niente di cui pentirmi.

Qualcuno pure dice che sono un misogeno, cioè che odio le donne, o meglio che io ho paura delle donne. Purtroppo ci sono delle donne che sono come quella pecora che fu convinta dal lupo del suo amore. Disse il lupo alla pecora: “Moi je t’aime” – era francese il lupo -; e la pecora rispose – anche lei francese: “Mon amour”. E mentre dicevano così il lupo cominciò a divorarla dalle zampe, ma la pecora era così presa dall’estasi d’amore, che solo quando il lupo arrivò alla testa si accorse che la stava divorando. Allora il lupo per l’ultima volta le disse: “Moi je t’aime”, e la pecora lo guardò in faccia e disse: “No mon amour, l’amore è tutto tuo, perché tu ti stai riempiendo la pancia”. Alcune donne se non vengono usate, “divorate”, non sono contente e pensano che uno sia misogeno perché non le consuma e non le divora. Io invece le ho sempre rispettate.