Morale 04 del 09.03.1998

Dovrebbe essere chiara la differenza tra Etica e Morale. L’Etica è il “principio di azione immediata”; la Morale è il “principio dell’azione riflessa”.

Questa differenza è importantissima, perché l’Etica, come principio immediato di azione, ci apparenta agli animali: c’è, infatti, una scienza che si chiama etologia, che è lo studio del comportamento degli animali, i quali si comportano a partire dal loro imprinting o matrice genetica dalla quale non possono sfuggire. L’animale, quindi, non ha varietà di comportamento, ma solo comportamenti dettati dal gene. L’etica ci apparenta agli animali, perché è il principio immediato di azione. Io non sono etico, non lo voglio essere e non lo sarò mai. Cerco di non essere etico ma di essere morale. La morale è il principio di riflessione. “Riflettere” significa “riportarsi dentro sé stesso”, in quello spazio interiore che si chiama “coscienza”.

L’Etica non esiste; è solo un tentativo di sfuggire alla riflessione. Quando gli esseri umani non vogliono più riflettere, perché le cose sono difficili e complicate, tirano fuori queste teorie dell’Etica che altro non sono che un meccanismo di difesa messo in atto quando non si sa che fare. L’etica è un meccanismo di difesa che cerca di togliere la persona dalla difficoltà della decisione e della riflessione. La morale è riflessione e decisione, con tutti i rischi che la decisione comporta.

Questa distinzione tra Etica e Morale appartiene ad un grande filosofo vissuto agli inizi del 1800, Hegel, uomo dotato di intuizioni straordinarie. Hegel diceva che l’Etica è il principio immediato di azione. Non esiste una morale scientifica, bensì una etica scientifica che è la scienza dell’etica che cerca di enucleare un principio immediato di azione. Tutto questo avviene quando l’essere umano si trova in gravi difficoltà di decisione e riflessione: in questi casi si cerca di tirar fuori un principio immediato di azione e allora cominciano i guai per tutti quanti.

Il cristiano dovrebbe essere una persona morale, che riflette, decide e si mette addosso tutti i rischi della decisione, perché la decisione morale non verte sulle cose necessarie. Le cose necessarie non hanno bisogno di scelta, di decisione – e neanche di azione, di “agire”; sono così evidenti che non puoi farne a meno e sono sempre tre: Dio, la Morte, il Sesso; quest’ultimo inteso come separazione, come essere consegnati da sempre alla propria individualità e come impossibilità di comunicazione di ciò che è più profondo dentro di noi. Il “proprio”, il “profondo” rimane incomunicabile. Questo è importante tenerlo a mente per evitare le solite lamentele: “non mi capiscono”, “non sono compreso”, ecc. Se io vi dicessi, per esempio, come io sento il colore verde, anche se ve lo comunico, voi non potrete mai sentirlo come lo sento io: lo sentirete ognuno in maniera diversa, perché siamo individui. Il “proprio” è incomunicabile. Questo è alla base di tante liti, soprattutto tra marito e moglie: “mio marito non mi capisce”, ecc. Il “proprio” non potrà mai essere capito, perché è incomunicabile, si comunica solo in superficie. Se dobbiamo fare un lavoro o costruire una casa allora comunichiamo col muratore, con l’idraulico, ecc., ma si comunica sulle linee generali. Il “proprio”, però, rimane sempre incomunicabile. Perciò noi da tempo siamo soli. E non c’è da avere paura per il fatto di essere soli: questa è una fortuna, meno male che siamo soli, altrimenti saremmo sempre occupati dagli altri.

Altra differenza è quella tra il saggio ed il pentito. Il saggio è colui che con un colpo d’occhio, dopo una certa esperienza, si rende conto della struttura di fondo, perciò non sta ad aspettare esperienze ulteriori per capire certe cose. Il pentito è colui che non si arrende mai, cerca di capire quello che gli interessa di più e ripete, va avanti di errore in errore sino a quando capisce, si rende conto, coglie la struttura e si pente, ma in quel caso è un pentito. Si può essere saggi fino ai trenta, trentacinque anni; pentiti dai trentacinque in poi.

Sincronico e diacronico. Sincronico – il saggio – è colui che con un colpo d’occhio coglie la struttura che sta alla base di tanti eventi e capisce che le cose più o meno andranno in un certo modo. Il diacronico è colui che ha bisogno di fare un discorso continuo, una successione nel tempo per arrivare poi a certe convinzioni.

Stasera voglio parlarvi di un altro pentito – la volta scorsa parlammo di Norberto Bobbio e di Carlo Bo -, voglio parlarvi di Pietro Ingrao.

Ultimamente è stato pubblicato un libro, “Il libro nero del Comunismo”, pubblicato prima in Francia e poi tradotto in Italia dalla Mondadori. Questo libro parla delle vittime, dei morti, causati dall’ideologia del Comunismo, così come sono stati pubblicati tanti libri sui milioni di morti causati dall’ideologia nazista.

Ai tempi in cui sono successe queste cose, Pietro Ingrao era un esponente molto qualificato del Partito Comunista Italiano. All’interrogativo di Rossana Rossanda: “Come è potuto succedere tutto questo?”, Ingrao ammonisce: “La grave responsabilità che sento pesare su di me è quella di non aver capito che la strada militare e della repressione armata portava alla crisi delle nostre più alte speranze. Nemmeno la salvezza della rivoluzione può giustificare tutto questo”.

Una espressione da pentito, perché, già a quel tempo, Ingrao era in prima linea, ma non capì, perché non era un sincronico, ma un diacronico.

Dovevamo aspettare che cadesse il muro di Berlino per capire queste cose, o si poteva capire già da allora? Io non voglio addossargli la responsabilità di non aver capito: la cosa va vista in maniera spassionata, obiettiva. Di fatto non ha capito. Non ha capito che certi ideali quando devono ricorrere alle armi ed alla repressione per realizzarsi, sono il tradimento degli ideali stessi. Diceva giustamente Fidel Castro che senza gli ideali non si può fare la politica, ma senza il potere non si possono realizzare gli ideali; con il potere, gli ideali, raramente sopravvivono. Un altro punto di vista. La storia è fatta di diacronici, i sincronici sono pochi.

In questo libro – “Il libro nero del Comunismo” – ci sono dei numeri che fanno spavento. Possibile che ci fosse gente che non si accorgeva di niente?

Nell’U.R.S.S. ci sono stati, a causa del Comunismo, venti milioni di morti; nella Cina ci sono stati sessantacinque milioni di morti; nel Vietnam un milione di morti; nella Cambogia due milioni; nell’Europa dell’est un milione; nell’America latina centocinquanta mila morti; nell’Africa un milione e settecentomila; nell’Afganistan un milione e cinquecentomila; per il movimento comunista internazionale e per i partiti comunisti che non hanno potere, circa dieci milioni di morti.

Perché ho parlato di questo? Per farvi una domanda. Le ideologie sono le favole che l’essere umano si racconta, sono favole innocenti, oppure hanno una loro responsabilità in tutti questi eccidi?

Esistono tre ideologie oggi. Il fascismo e il nazismo furono fenomeni atroci, bruttissimi, ma limitati nel tempo. Ci sono delle ideologie, delle favole che hanno una valenza universale, mondiale e sono tre: il Liberismo (la società americana), il Comunismo (la società comunista) e la società cristiana. In realtà tutto è iniziato con la società cristiana, col progetto di una società cristiana. Progetto molto pericoloso. La pretesa di fare del Cristianesimo il nucleo, l’archetipo della società, cioè quel principio archetipo intorno al quale si crea tutta la società, è pericolosissima. Una brutta situazione che ha prodotto un sacco di morti: roghi e torture varie non soltanto da parte della Chiesa cattolica: basta ricordare ciò che è successo in Germania al tempo di Lutero. Lutero predicava la libertà e molti contadini della Germania presero seriamente questo concetto di libertà, voltandosi, però, contro i principi tedeschi che si erano schierati dalla parte di Lutero contro l’imperatore e la Chiesa di Roma. Allora, per i contadini la libertà non esisteva più e tutto si concluse con i massacri dei contadini, i famosi battisti. È una cosa spaventosa.

Il brutto esempio lo ha dato proprio il Cristianesimo, con questa sciocca idea di società cristiana, perché – dicono, ma la traduzione è errata – “Dio si è fatto uomo”. Dio si è fatto “carne”, che è cosa ben diversa dall’essersi fatto “uomo”. “Dio è entrato nella Storia attraverso Gesù Cristo”. Che dichiarazione solenne! E siccome Dio è entrato nella Storia attraverso Gesù Cristo, la storia è nelle mani di Cristo. E chi è che rappresenta Cristo? Il Papa, i vescovi ed i preti. Perciò chi deve comandare? Il Papa, i vescovi e i preti.

Papa Bonifacio VIII (1300) diceva che Gesù aveva lasciato due spade, quella del potere temporale e quella del potere spirituale, entrambe nelle mani del Papa. La spada temporale era la costituzione della società cristiana. Siccome Bonifacio VIII, bontà sua, non voleva avere troppe preoccupazioni, decise di liberarsi una mano e la spada temporale la affidò all’imperatore, tenendosi la spada spirituale. “Ma – diceva Bonifacio all’imperatore – ricordati che la spada temporale te l’ho data io ed io te la posso togliere quando voglio”. Perché tutto questo è stato possibile? Perché Dio è entrato nella Storia per mezzo di Gesù e siccome i titolari di Gesù sono il Papa, i vescovi e i preti, noi dobbiamo comandare e dobbiamo fare la società cristiana.

Così ci spieghiamo tante aberrazioni. I testimoni di Geova, per esempio, dicevano che Gesù, insieme ai dodici apostoli, sarebbe venuto sulla Terra a governare il mondo per un periodo di tempo e dopo sarebbe venuta la fine del mondo. La prima volta dissero che Gesù sarebbe venuto sulla Terra nel 1914, invece ci fu la prima guerra mondiale; si corressero e aggiornarono al 1926 e per l’occasione comprarono una villa a San Diego, in California, perché in quella villa dovevano soggiornare Gesù e gli apostoli per governare tutto il mondo!?! Non solo: per gli spostamenti di Gesù e degli apostoli comprarono una cadillac!?!

Questa idea del regno di Dio sulla Terra non è soltanto dei testimoni di Geova: è un’idea fissa, sia dei tempi andati che di oggi. C’è ancora oggi una corrente di battisti, i quali ritengono che la Chiesa e i cristiani devono dotarsi di strumenti di potere, perché soltanto attraverso questi strumenti di potere possono essere presenti in maniera decisiva nella società umana e cristianizzare la società umana. Ci sono altri, invece, che dicono no agli strumenti di potere: però, siccome il mondo si è secolarizzato, ha perso il rapporto con Dio, è necessario che tutto il mondo, oggi, si rivolga verso la Chiesa, perché nella Chiesa si conservano i veri ed unici valori della convivenza democratica e umana. Insomma, non vogliono gli strumenti del potere, ma deve essere sempre la Chiesa che deve dire quali sono i valori da conservare perché una società funzioni veramente.

I primi sono “conservatori”, quelli, cioè, che ritengono sia necessario dotarsi di strumenti di potere – all’interno della Chiesa ci sono molti movimenti che ritengono che i cristiani debbano esser presenti nei centri di potere per cristianizzare la società: ci sono quelli che lo fanno in maniera molto aperta, chiara e ci sono quelli che lo fanno in maniera subdola, però il fine è sempre quello di arrivare ai centri di potere per influenzare “cristianamente” la società.

La seconda categoria è quella dei “progressisti”, che pur rifiutando gli strumenti di potere – anche perché il potere comporta molti rischi -, vogliono, pretendono che ci si rivolga alla Chiesa, perché solo la Chiesa è la detentrice dei veri valori che possono permettere una convivenza civile e democratica. Che pretesa!

Così, abbiamo queste due ideologie all’interno della Chiesa, ma in realtà l’idea di fondo è la stessa: in entrambi i casi c’è la fissazione che Dio sia entrato nella Storia, perché la Sacra Scrittura dice: “Dio di è fatto uomo”. Non è vero! Il testo sacro dice: “Dio si è fatto carne” (Gv 1,14), e la carne è tutto l’opposto della Storia. La carne è la dissoluzione del corpo. Nella messa si dice: “questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”; quella è la carne, il corpo che si discompagina, che si disfa, che muore, quella si chiama carne. La carne la potete apprezzare in macelleria, quella è la carne. “Dio si è fatto carne” e non “Dio è entrato nella Storia” per dirige tutta la Storia.

Queste teologie della Storia, ormai, sono fuori posto: sono servite per fare opera continua di repressione. Tuttora, quando facciamo riunioni di vicaria tra parrocchie confinanti, viene sempre fuori il discorso del tipo: “…noi della vicaria dobbiamo essere presenti sul territorio e dobbiamo occupare tutti gli spazi, perché noi, solo noi cristiani sappiamo come si può vivere in maniera civile”. Pretese strane. Non si rendono conto che il Cristianesimo è esattamente l’opposto della società. Se uno vuole vivere da cristiano, manda a quel paese la società e diventa un anarchico perfetto. Per vivere in società si deve mortificare il proprio Cristianesimo.

Queste ideologie non sono affatto nuove. Il Comunismo, per esempio, non è una cosa nuova: è esistita da sempre l’utopia del comunismo. Basta pensare a Platone, alla sua “Repubblica”, oppure all’“Utopia” di Tommaso Moro – seconda metà del ‘500 -, il famoso cancelliere di Enrico VIII, che pagò con la vita – fu decapitato – la sua opposizione al divorzio del re da sua moglie Caterina e il suo successivo matrimonio con Anna Bolena. Enrico VIII voleva che il suo cancelliere approvasse il divorzio, ma Tommaso Moro gli disse: “ti posso dare ragione su tutto, ma su questo no”. E fu fatto Santo. Tommaso Moro scrisse un’opera dal titolo “Utopia”, in cui viene descritta una società dove tutto è in comune. La parola “utopia” viene dal greco “ou-topos”, che vuol dire “non-luogo”: una realtà che non ha mai un luogo dove si realizza. Dopo Tommaso Moro ci fu un altro filosofo, Tommaso Campanella – 1600 -, un domenicano, che finì prigioniero e morì in un famoso castello di Napoli, il quale scrisse un’altra opera utopica: “La Città del Sole”, simile a quella di Tommaso Moro. Ora, fino a quando queste utopie servono come intervento critico nei confronti della società in cui si vive, siamo d’accordo, hanno anche una funzione: guardando l’ideale, confronto il reale con l’ideale, quindi opero la critica nei confronti del reale, cerco di migliorare quanto più è possibile il reale, sapendo, però, che l’ideale è irraggiungibile, sapendo che c’è sempre uno scarto tra ideale e il reale. Infatti, nella piazza del Cremlino, i bolscevichi costruirono un monumento a Tommaso Moro e a Tommaso Campanella, per dire che loro si rifacevano proprio a queste due filosofie, ma in maniera errata, perché Tommaso Moro, quando gli veniva chiesto qualcosa sulla sua opera “Utopia”, rispondeva che si trattava di un opera che aveva scritto tanto per passare il tempo – come “L’elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam -, perché in quel tempo, evidentemente, la situazione era così pesante in Europa che questi artifici letterari avevano la funzione di valvola di sfogo. Invece, ci sono gli stupidi, gli sciocchi, che prendono sul serio certe cose: se la madre dell’idiota è sempre incinta la colpa non è di Tommaso Moro o di Tommaso Campanella. Solo perché so che ci sono degli idioti, non mi devo permettere il lusso di questi capricci letterari. La mia libertà vale diecimila volte di più dell’uso che può fare un idiota di quello che io dico. Il guaio, ripeto, è quando queste utopie, che erano delle valvole di sfogo, degli artifici letterari, venivano prese sul serio: Tommaso Campanella e Tommaso Moro, infatti, erano convintissimi del fatto che c’è uno scarto infinito tra l’ideale e il reale, erano dei buoni alunni di Platone.

Platone diceva che esiste il mondo delle idee ed il mondo della realtà. Le idee sono più reali di quella che noi chiamiamo realtà, però tra il mondo delle idee e quello della realtà c’è un abisso, un divario, che non si può colmare. È inutile che vogliamo fare le cose ideali. Invece, quando nasce la convinzione che l’ideale è reale, allora iniziano i guai.

L’“ideale” e il “reale” lo intendo alla maniera hegeliana – Hegel diceva cose interessantissime sotto questo aspetto -, perché è vero che l’ideale che è molto reale, nel senso che ci fa muovere, ci spinge sempre più ad adeguare ciò che è reale all’ideale, ma sempre sapendo che c’è un abisso tra ideale e reale. I problemi sorgono quando si pone l’identità tra l’ideale e il reale, in maniera immediata. Quando si crede che l’ideale della società comunista è reale e che non è reale solo perché ci sono alcuni che non la pensano così, che cosa resta da fare? Prendere questi “alcuni” e farli fuori. Bisogna impedire a questi di ragionare.

Durante la rivoluzione francese veniva fatto uso della ghigliottina, molto significativa: tagliare la testa significava impedire di ragionare. In Russia c’era il Gulag. Per quelli più resistenti, per gli intellettuali, c’era la clinica psichiatrica.

L’ideologia liberale è peggio. È peggio perché è subdola, non te ne accorgi.

L’utopia dell’avvenire radioso socialista, l’ideologia del dolce domani del liberismo degli Stati Uniti, la società cristiana: alla base c’è un’infamia di fondo, prendono in giro le persone. In America – società liberista – c’è un totalitarismo, ma non è un totalitarismo burocratico, brutale: è un totalitarismo tecnologico, strisciante, di cui non ci accorgiamo. Si rompono i ponti col passato, si punta al consumo immediato e i giochi sono fatti. Totalitarismo strisciante che è anche più perverso, perché non ti spinge neanche a fare la parte dell’oppositore.

Quindi, queste utopie, quando diventano convinzione di essere reali, diventano pericolose. Che cosa permette ad una utopia di diventare reale? È il concetto di scienza. Basta dire: “è scientifico”. Quando dici “è scientifico”, allora vuol dire che è reale e se è reale tu non ti puoi opporre.

Al tempo di Marx c’era il socialismo utopistico, un socialismo fondato sulla volontà delle persone di cambiare le cose, cioè un socialismo ideale. Marx sosteneva che quello era un socialismo da buffoni e che quello che contava era il socialismo scientifico. Scientifico perché osserva nella realtà stessa il movimento che porta lo stato delle cose esistenti alla società comunista come un processo necessario: anche se vi opponete, vi opponete inutilmente, perché è un processo scientifico, con le sue leggi necessarie.

È “chiaro” che chi si oppone a questa forza delle cose stesse che evolve verso la società comunista è uno sciocco, è uno che va contro il movimento dell’essere stesso, ne ritarda i tempi e deve essere fatto fuori. Così ci spieghiamo tutti quei morti, ci spieghiamo nella società liberista americana tutta quella fascia di miseria, ci spieghiamo nella storia della Chiesa cattolica tutte le crociate contro gli infedeli, ma anche le crociate contro i catari, contro gli albigesi, contro i poverelli.

La convinzione che gli ideali siano scientifici porta proprio a pensare che già nell’essere stesso ci sia questo movimento che va necessariamente verso la realizzazione dell’ideale. L’ideale non può non essere reale, non può non farsi: questa è la scienza.

Ma l’ideale non può far fare e noi, invece, siamo costretti a fare. L’etica del fare. Soltanto se scompare questa “etica del fare”, se inizia una seria, severa riflessione, possiamo cogliere il vero Comunismo, che non è quello di Marx, il vero Liberismo, che non è quello della società americana, il vero Cristianesimo, che non è quello che molto spesso ci hanno ammannito nella storia della Chiesa e tuttora. Siamo veramente comunisti quando non facciamo più niente, siamo veramente liberisti quando non facciamo nulla, siamo veramente Cristiani quando operiamo, ma non facciamo.

Non dite più che le ideologie o le favole sono innocenti: c’è sempre un idiota che sposa le ideologie o le favole con la scienza e ti crea il totalitarismo. Per questo è necessario distruggere i sogni. Le favole non sono mai innocenti. Nonostante tutta la buona volontà di tenerle separate dalla realtà, le favole non sono mai innocenti, perché c’è sempre qualche idiota che ci crede e che se ne può servire. La madre dell’idiota, purtroppo, è sempre incinta.