Psicoanalisi 05 del 11.03.1995

Oggi parleremo del mito di Narciso. Narciso è figlio di un fiume (Cervisio) e di una ninfa (Lirìope). Di questo giovinetto bellissimo si innamora la ninfa Eco. Narciso, però, è innamorato di sé stesso.

Eco (figlia del cielo e della terra) era stata condannata da Giunone a ripetere le ultime parole pronunciate dalle persone: secondo alcuni fu condannata perché parlava male di Giunone; altri dicono che fu condannata perché aveva quasi protetto Giove nei suoi affarucci erotici extra-famigliari (Giove, oltre a Giunone, aveva anche le “commare”). Secondo quest’ultima versione Giunone si mise alla ricerca delle “commare” di Giove, cercando di sorprenderlo sul fatto. Sennonché non ci riuscì, perché Eco, forse d’accordo con Giove, trattenne Giunone, impedendole di coglierlo sul fatto. Allora Giunone si arrabbiò con lei, condannandola a ripetere le ultime parole pronunciate dalle persone.

Come morì Eco? Se ne andò errando per i boschi, per le selve e per le montagne e così, lentamente, il suo corpo si consumò e rimase soltanto la voce. Ecco perché – stando al mito – quando andiamo in montagna l’eco si sente ma non si vede, perché si è suicidata.

Un’altra ninfa, compagna di Eco, andò da Giove per dirgli che Narciso doveva essere punito. La punizione di Narciso fu quella di innamorarsi di sé stesso. Narciso, originariamente, non era innamorato di sé, ma era sensibile alla voce di Eco. Quindi la condanna fu quella di innamorarsi di sé stesso.

Secondo una prima versione del mito, Narciso, cercando di impossessarsi della sua immagine – di cui era innamorato – riflessa in uno specchio d’acqua, si chinò troppo, cadde e morì annegato. Gli Dei, sul posto dove era annegato, fecero crescere un fiore chiamato, appunto, narciso.

Secondo un’altra versione del mito, Narciso morì di fame vicino ad una fontana. Non riusciva a far altro che specchiarsi continuamente, dimenticandosi di mangiare.

Secondo un’altra versione ancora, Narciso fu ucciso vicino ad una fontana e dal suo sangue venne fuori il fiore.

Qual è il problema di Narciso e di Eco? Narciso è corpo ed Eco è voce. Eco cerca il corpo e il corpo dovrebbe cercare la voce. Invece il corpo e la voce non si incontrano, perché il corpo, cioè lo sguardo, è innamorato di sé stesso, dello stesso sguardo, è uno sguardo innamorato di sé, non ha voce, per cui Eco viene mandata via. Quindi sia Eco che Narciso sono due parti impoverite e incomplete. Soltanto che Narciso non lo sapeva e pensava di completarsi, sennonché la preoccupazione, il desiderio di impossessarsi dell’immagine di sé stesso, il desiderio di ridurre il doppio che vedeva nell’acqua, il timore di vedere questa immagine scappare da sé, lo porta al punto di cadere nell’acqua e di morire. È il problema che ognuno di noi vive quando ci si mette davanti allo specchio: nello specchio si vede il doppio di sé e di questo doppio ci si vorrebbe appropriare, cioè si vorrebbe uno sguardo che prenda l’immagine, ma in realtà non riesce a prenderla mai. È un’immagine, è un’anima che ci sfugge continuamente e che può cadere in mano ad altri.

Freud tratta il mito di Narciso in maniera diversa: vede in Narciso, o nel narcisismo, la persona completa, la persona che non ha alcun bisogno. Freud distingue due tipi di desiderio: desiderio oggettuale e desiderio narcisista.

Il desiderio oggettuale è il movimento che fa chi si sente povero di qualcosa e che si muove, si dà da fare per conquistare l’oggetto del desiderio.

Il narcisista, invece, è colui che non ha un desiderio oggettuale, non deve muoversi per uscire fuori di sé e trovare l’oggetto del suo desiderio, perché l’oggetto del desiderio è lui stesso.

Mentre chi è preso dal desiderio oggettuale vuole continuamente uscire da sé per andare alla ricerca dell’oggetto, il narcisista, invece, è completo e autosufficiente, perché è lui stesso l’oggetto del suo desiderio. Per questo Freud dice che il narcisista ci dà l’idea, la sensazione di una persona autosufficiente, di una persona felice, di una integrità psichica senza ombre. Quindi, secondo Freud, il narcisista non cerca neanche di migliorarsi, perché è completo. Anche perché se cercasse di migliorarsi, dovrebbe andare incontro al desiderio oggettuale.

Freud applica al narcisista la stessa idea che si ha di Dio. Perché Dio non si muove? Proprio perché in Dio tutto è perfezione: non si muove perché non passa dalla potenza all’atto, perché è già tutto pura attualità. Quindi il narcisista sarebbe l’immagine del Dio sulla terra, cioè il narcisista incarna la perfezione divina.

“Introduzione al narcisismo di Freud”

L’attrattiva del bambino poggia in buona parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza. Nelle raffigurazioni poetiche che ne vengono date, persino i grandi criminali e gli umanisti ci avvincono per la coerenza narcisistica con cui sanno tenere lontano tutto ciò che potrebbe rimpicciolire il proprio “io” (narcisismo primario).

II grande fascino della donna narcisista non manca tuttavia di un suo rovescio. Gran parte dell’insoddisfazione dell’uomo innamorato, dei dubbi che egli nutre sull’amore della sua donna, delle lamentele per la natura enigmatica, hanno la loro incompatibilità proprio in questi due tipi di scelta oggettuale (narcisismo secondario).

Se l’uomo innamorato è preso dalla logica del desiderio oggettuale, proprio perché il desiderio oggettuale non può mai realizzarsi, avrà come conseguenza l’insoddisfazione. Sarà un uomo sempre insoddisfatto. L’unico soddisfatto può essere il narcisista, proprio perché fino a quando si vive nella logica del desiderio oggettuale si sarà non-soddisfatti.

Come può una donna narcisista amare un’altra persona? Se amare vuol dire avvertire il bisogno dell’altro, quale bisogno vuole avere?

Non possono convivere bisogno e narcisismo! Freud, in una lettera ad una delle sue prime allieve, scrive, più o meno: “Dopo 30 anni non sono riuscito a capire che cosa vuole la donna”. Perché – si chiede Freud – si hanno questi sintomi di isteria e altre patologie psichiche femminili, che presuppongono insoddisfazione che, a sua volta, presuppone una ricerca di oggetto e una logica di desiderio oggettuale? Se la donna fosse veramente narcisista, non avrebbe bisogno; ecco il dubbio (da qui nasce la psicoanalisi). Una persona che ha un marito, dei figli, ha tutto, perché è insoddisfatta? Qual è l’origine di questa insoddisfazione ? Come fanno a stare insieme insoddisfazione e narcisismo?

Ecco il grande dubbio di Freud, dubbio che, comunque, non è riuscito a chiarire, perché non ha capito bene il narcisismo.

Psicologia, psicoterapia, psichiatria, psicopatologia, psicolinguistica, psicosomatologia, psiconeurologia. Tutte queste “scienze” dovrebbero stare in rapporto con la psicologia, perché la psicologia dovrebbe indicare un funzionamento normale della psiche.

II padre fondatore della psicologia è un tedesco, Hilar Wund, il quale insegnava filosofia e neurologia. Wund creò, nel 1879, a Lipsia, in Germania, il primo laboratorio di psicologia sperimentale, con l’augurio di poter trovare un corpo di principi metodologici e un corpo di nozioni tali da costituire la psicologia.

Questo fu l’esperimento che si volle avviare nel famoso laboratorio di Lipsia di Hilar Wund.

Perché si possa parlare di “scienza” è necessario avere un metodo, un oggetto e un linguaggio unitari. Se consideriamo la biologia, notiamo che si fonda su un suo dogma, una sua verità di fondo, che nessun biologo può mettere in discussione, altrimenti non è più un biologo: il principio dell’interno-esterno. Tutto il movimento delle cellule va sempre dall’interno all’esterno (dal DNA al citoplasma).

In un primo momento la psicologia era vista come scienza razionale, era la scienza della passione dell’anima. Nel 1800 non si accettò più questo impianto razionalistico della psicologia, ma si tendeva a farne una scienza sperimentale. Si cercava di trovare un metodo e un oggetto unitario.

Nel 1920 il laboratorio di Lipsia fu fortemente ridimensionato, perché ci si accorse che dal 1879 al 1920, invece di arrivare alla costituzione di un metodo e di un oggetto unitario da tutti riconosciuto, si ebbe una proliferazione notevole di tante psicologie diverse.

Quello che manca alla psicologia è proprio un metodo e un oggetto unitario. La psicologia come scienza naturale e sperimentale non esiste.

Due sono le soluzioni che oggi si propongono. Ci sono alcuni che sperano ancora che con il passare del tempo si riesca a trovare un metodo e un oggetto unitario, un corpus di nozioni e di principi metodologici riconosciuti da tutti come validi. Come fare, altrimenti, a far discutere uno psicologo “fenomenologo” con uno psicologo “comportamentista”? Non si capirebbero affatto!

Per alcuni c’è ancora questa speranza: la speranza che un giorno si possa trovare un metodo e un oggetto unitario riconosciuti dalla comunità scientifica. Per formare una scienza come metodo e oggetto si ha, però, bisogno anche di un linguaggio comune: per cui la stessa parola “oggetto”, presa nell’accezione della psicodinamica ha un suo significato, diverso da quello che ha nell’accezione comportamentista e nell’accezione biologica.

Il desiderio di trovare una lingua, un metodo e un oggetto unitario è irrealizzabile, perché la psicologia deve essere considerata alla stregua non di una scienza naturale, ma di una scienza umana, cioè di una continua narrazione. La psicologia è una scienza narrativa, una scienza che racconta una storia sulla psiche e che esaurisce la sua funzione proprio nel racconto di questa storia, senza preoccuparsi di capire se questa storia abbia o meno un aggancio con la realtà.

In alcuni vi è ancora la speranza di poter trovare un linguaggio, un metodo e un oggetto unitario che riveli una scienza, la quale si può fondare solo quando c’è un linguaggio, un metodo e un oggetto unitario (“unitario”, in questo caso, vuol dire “riconosciuto dalla comunità scientifica”).

Ecco perché il problema della scienza e il problema della comunicazione vanno di pari passo. Non basta, per poter parlare di “scienza”, che uno abbia la convinzione della validità del linguaggio, del metodo e dell’oggetto, ma linguaggio, metodo e oggetto devono essere riconosciuti dalla comunità. Solo quando c’è un riconoscimento, una comunicazione e, quindi, una comunità (perché dopo la comunicazione si forma la comunità, la comunità scientifica), allora le intuizioni, le ricerche che prima avevano un sapore rivoluzionario, diventano un paradigma.

II paradigma è il momento in cui certe teorie vengono accettate in maniera progressiva dalle comunità scientifiche. La rivoluzione, invece, si ha quando questi paradigmi vengono messi in forse, viene rimesso tutto in discussione e si arriva, dopo, a produrre altri paradigmi.

Per esempio: la concezione tolemaica dell’universo era un paradigma; la concezione copernicana rappresentò la rivoluzione.

Tuttavia le rivoluzioni non avvengono all’istante, ma nell’arco di secoli. Le vie attraverso le quali un paradigma viene messo in crisi (e c’è poi una rivoluzione che porta a nuovi paradigmi) sono molto tortuose, inspiegabili.

Nel campo della fisica, per esempio: in principio c’era la fisica antica, con Aristotele; poi questa fisica antica, con Bacone e Galileo, salta per aria. La fisica classica viene poi formata e completata da Leibniz e Newton, fino ad Einstein; in seguito la fisica quantistica ha dato una picconata alla fisica classica. Oggi il vecchio paradigma che spiegava tutto con la gravitazione universale (concezione “meccanicistica”) non è più sufficiente, perché è stato scoperto l’elettromagnetismo, le forze nucleari forti e deboli, ecc.

Nella psicologia, tutto questo procedimento, questo percorso di paradigmi e rivoluzioni non c’è stato, perché si sono affermate contemporaneamente tante tradizioni diverse. Quindi non parleremo, a proposito della psicologia, di paradigmi e rivoluzioni, ma di tradizioni diverse. All’interno di queste tradizioni, che hanno in comune dei principi (ogni tradizione ha dei principi) si sono sviluppate indirizzi, teorie o sistemi diversi che spesso sono in contrasto tra di loro. Spesso il contrasto avviene all’interno di una stessa tradizione, tanto che a volte è più facile che si capiscano le correnti di tradizioni diverse piuttosto che le correnti di una stessa tradizione.

II fatto che all’interno di una tradizione ci siano degli sviluppi, degli arricchimenti, non significa che tutta la tradizione si arricchisca o che diventi più vera, perché può darsi che i principi da cui parte una tradizione siano principi sballati. La logica di un sistema non mi garantisce la verità del sistema stesso.

Ogni tradizione si fonda su un non-detto o su un non-dicibile, cioè su qualcosa che non è stato detto e, proprio su quei principi, che vengono accettati senza discussione, si fonda la tradizione.

Le tradizioni principali sono: tradizione fenomenologica, tradizione psicodinamica, tradizione comportamentista, tradizione storico-culturale, tradizione cognitivista, tradizione biologica.

Le tradizioni entrano in un gioco dialettico, si risvegliano proprio per equilibrare certi squilibri che si sono creati, perché una tradizione ha avuto un consenso maggiore di un’altra. La tradizione biologica, per esempio, si è svegliata ultimamente, proprio in contrapposizione alla tradizione verbalista della psicodinamica.

Sono tradizioni che hanno in comune una sola cosa: la parola “psicologia” (tutti si dicono psicologi, perché vogliono studiare la psiche). Al di là della parola “psiche” le opposizioni sono totali, perché una cosa è la “psiche” per la fenomenologia, un’altra cosa è per la psicodinamica e un’altra cosa ancora per il comportamentismo, ecc. L’unica cosa in comune è la parola “psiche”.

La risposta più valida dovrebbe essere quella della psicoanalisi, perché la psicoanalisi è esattamente l’opposto della psicologia. La psicologia cerca di tenere unita, legata la psiche e si sforza di trovare un linguaggio, un metodo e un oggetto unitario che permetta di sperimentare, osservare e conoscere la psiche.

La psicoanalisi fa il contrario. La parola “analisi” vuol dire “dissolvimento”, “scioglimento” (dal verbo greco “analyuo”). Cioè la psicoanalisi deve tendere ad uno scioglimento della psiche.

La psiche sta diventando un rifugio, un insieme di pieghe in cui vogliamo nasconderci per dare l’impressione di essere profondi, di avere una sensibilità notevolissima. La psiche è una scusa per resistere all’esteriorizzazione.

A questo punto vengono in mente le parole di Gesù: “…chi vorrà salvare la propria vita – la traduzione è errata, perché Gesù usa la parola “psiche” e non “vita” -, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25).

Ecco perché si nota un legame strettissimo tra teopatia (non più teologia, ma teopatia, perché soffriamo di Dio) e psicoanalisi. È Gesù il fondatore della psicoanalisi, non Freud!

Quella che comunemente viene definita “psicoanalisi”, è in realtà “psicodinamica”. È psicodinamica, perché intende la psiche non come una struttura stabile, ma come struttura in movimento, fatta di investimenti, rimozioni, ecc.

Questa psiche dinamica crea tutta sé stessa proprio nel suo dinamismo: si parte dall’essere, che muovendosi verso l’esterno trova un ostacolo; trovando un ostacolo forma una scorza che si chiama “io”; l’“io” affonda le sue radici nell’essere, non è altro che la parte più esterna, più esposta al contatto, all’impatto con l’esterno.

Hanno espunto dalla psicoanalisi due processi fondamentali, evidenti, che sono la morte e la seduzione. Se dalla vicenda umana si toglie la morte e la seduzione non si capisce più niente e la psiche diventa un sistema che si deve legare.

Il tentativo della psicologia è quello di legare l’“io” al mondo; la psicanalisi è il contrario: l’“io” è il centro attorno al quale il mondo si organizza, l’“io” deve produrre.