Il trilemma dell’invecchiamento

La gerontologia studia l’invecchiamento sotto gli aspetti biologici, psicologici e sociali.

I suoi interessi vanno dalla genetica molecolare al metabolismo, alla longevità cellulare, alle modificazioni legate all’età dei tessuti, organi e sistemi, alle attività sensoriali, alla memoria, all’apprendimento. La gerontologia comprende aspetti più propriamente psicosociali quali:

  • attitudini
  • aspettative
  • immagini di sé
  • ruolo
  • adattamento alla terza età.


La geriatria invece si interessa all’invecchiamento sotto l’aspetto propriamente medico. Si può considerare la geriatria come parte della gerontologia o la si può riconoscere come disciplina autonoma ma, a parte tutto, non può la geriatria trascurare quegli aspetti psicologici e sociali che insieme a quelli biologici trovano dignità ed interesse come aspetti interagenti dell’unica personalità umana.
L’invecchiamento è stato da sempre oggetto di attenta considerazione in quanto confinante e parente strettissimo della morte. Ma lo sguardo che l’antichità aveva dell’invecchiamento è diverso da quello della modernità e la diversità dello sguardo dipende dalla differente concezione del tempo. L’antico aveva paura del tempo, realtà inevitabile ma distruttrice; nascere significava cadere nel tempo, la nascita era una caduta nella morsa del tempo.


Nella cultura ancora più antica l’invecchiamento era il processo distruttore del tempo, ma soprattutto allontanamento dall’origine.


Nostalgia dell’origine e orrore del tempo abitavano l’anima dell’antico. Perciò la cultura antica creava miti e riti di ritorno all’origine onde le ferite che il tempo produceva portando ogni cosa e consumazione e invecchiamento.

“Il Dio è l’Origine” diceva la cultura antica.

Per il moderno, invece, il tempo non è una realtà negativa, distruttiva, ma una realtà positiva, un’apertura di possibilità praticamente infinite, un progredire, cioè un gradior -> andare e pro-> in avanti. “Il Dio è il futuro”. Ma questa concezione positiva ed ottimistica si scontra con l’inevitabile aspetto di invecchiamento che si accompagna al tempo; è impossibile annullare il 2° principio della termodinamica, è impossibile bypassare la dialettica EROS-THANATOS. La vecchiaia è lo scandalo del moderno, lo scoglio entro cui si infrange qualsiasi ottimismo illuministico.
Ma, mentre nel sentimento diffuso della gente l’invecchiamento e la vecchiaia sono ancora un tabù che deve essere costantemente, attentamente e purtroppo ridicolamente occultato, nell’alta cultura, nelle menti illuminate, che hanno il compito di preparare miti e riti in cui riversare il pensare comune, l’invecchiamento è una sfida: diventa qualcosa da guardare da vicino, ma di superarlo.
Si spiega così il grande interesse conoscitivo, che oggi notiamo, per i processi di invecchiamento; l’invecchiamento diventa oggetto di studio.
Cosa è l’invecchiamento? Come fanno le cellule ad invecchiare, come fanno a morire di senescenza?
Ci sono molte teorie che spiegano il processo di invecchiamento in termini di meccanismi biologici, ma sostanzialmente possiamo ridurle a due filoni di pensiero.


1° filone di pensiero: il catastrofismo o sfinimento degli ingredienti cellulari e la mitosi negli organismi pluricellulari cessa quando l’organismo raggiunge la maturità fisica e la sintesi delle molecole che compongono le cellule rallenta notevolmente o, addirittura, si arresta. Mentre negli organismi unicellulari che si riproducono per fissione o negli embrioni o neonati le molecole cellulari si rinnovano continuamente, per cui i componenti cellulari si mantengono giovani e in salute, negli organismi pluricellulari maturi invece, i processi di sostituzione di rinnovamento delle molecole cellulari terminano.


2° filone di pensiero è quello del “programma genetico”. Come è possibile, si chiedono i sostenitori di questo secondo filone, ridurre le rilevanti differenze di durata della vita degli organismi multicellulari allo sfinimento degli ingredienti cellulari, dal momento che questi, cioè tutti gli organismi multicellulari, hanno i medesimi componenti molecolari? Tra le proteine di un topo e quelle di un uomo non c’è grande differenza. Perché il topo vive in media tre anni e l’uomo invece ottanta? La risposta potrebbe essere nel fatto che, per quanto riguarda gli organismi multicellulari, la morte a cui porta il processo di invecchiamento, è un evento molto importante per essere affidato al caso e che quindi, è programmato geneticamente.
Ambedue i filoni hanno buoni argomenti a loro favore; d’altra parte i due punti di vista non si escludono reciprocamente. Naturalmente la molecola che più ci interessa è il DNA, depositaria del controllo genico, perché è continuamente minacciato sia al suo interno (errori durante la replicazione ), sia da agenti esterni ( sostanze chimiche e radiazioni ). Il DNA aploide (quello delle cellule germinali in fase meiotica) è facilmente accessibile e riparabile, grazie ai numerosi enzimi atti allo scopo. Le cellule somatiche, invece, sotto questo aspetto sono scarsamente dotate e quindi quanto più questo DNA è coinvolto nella produzione di molecole necessarie per la cellula, tanto più il problema delle proteine difettose da esso prodotte complica quello del logoramento delle proteine normali. La velocità con cui si accumulano mutazioni letali, diverse da una specie all’altra, può forse dipendere dall’efficienza degli enzimi addetti alla riparazione del DNA, o dalla velocità con cui svaniscono nelle cellule somatiche. Entrambi i fattori, comunque, sono a probabile controllo genico.
Esistono prove a favore del controllo genico della durata della vita della specie umana. Per esempio da alcuni studi sui gemelli monovulari risulta che in media la loro morte avviene a distanza di circa trentasei mesi, mentre per i gemelli biovulari la distanza è di settantacinque mesi.

Vi sono inoltre malattie a base genetica, nelle quali il processo di senescenza si presenta notevolmente accelerato. Per esempio la “progeria” o sindrome di Hutchinson-Gilford.
I soggetti affetti da tale malattia portano a termine il processo di invecchiamento con la morte nel giro di quindici anni. I primi sintomi appaiono a carico della pelle (rughe nel secondo anno di vita, assottigliamento e incartapecorimento). Dopo qualche anno cominciano a cadere i capelli e quelli che restano diventano grigi. I soggetti saranno sotto peso e di statura inferiore alla norma. I progerici raramente arrivano alla pubertà, passano “direttamente alla vecchiaia. Muoiono solitamente per infarto o per disturbi cardiocircolatori. Si è convinti della natura genetica della malattia, anche se non si conosce il gene che svolge una funzione critica in questo processo.
Quindi invecchiamento e morte non sono eventi affidati al caso, ma caratteristiche che vengono ricercate attivamente. Le cellule somatiche contengono addirittura un certo numero di meccanismi di sicurezza per impedire che esse deviano dinanzi alla morte tentando addirittura di rendersi immortali.
Secondo il filone del programma genetico esisterebbero dei gruppi di geni che chiameremo “geni della morte” che, quando hanno la possibilità di esprimersi, danno avvio al processo di invecchiamento ed alla perdita della capacità di replicare i cromosomi, portando le cellule a morte certa. Questi “geni della morte” entrano in azione e danno alle cellule l’ordine di suicidarsi quando la codifica di proteine strutturali e funzionali difettose raggiunge un punto critico.

Come si evince da quanto detto, il processo di invecchiamento e di morte è soprattutto di spettanza delle cellule somatiche, cioè del nostro “soma”, che dal punto di vista umano è l’espressione della nostra personalità, dell’amore, della volontà. Tuttavia, se risaliamo all’origine della morte al di là della mente e della fede, ai suoi veri inizi, cioè alla morte delle singole cellule, arriviamo ad una conclusione abbastanza amara: l’irrilevanza, in un orizzonte cosmico del nostro essere somatico.
Il corpo in greco si dice “soma”, ma in italiano “soma” ci fa pensare a “bestie da soma” cioè animale da trasporto. Il soma è solo il portatore del gene, cioè del Signore.
Il trilemma della geriatria o il dilemma?


Cosa è il dilemma? E’ una argomentazione formata da due proposizioni contrarie dette “corni del dilemma”, che vengono poste come alternative possibili. Il trilemma è un’argomentazione a “tre corni”. Ritengo che la senescenza e la geriatria, cioè la cura della senescenza, si pongano non come un dilemma, ma come un trilemma, in relazione all’orizzonte in cui vengono situate, al tipo di sguardo che le coglie e le sistema in quadro concettuale.


Tre sono gli orizzonti o sguardi possibili:

  1. biologico
  2. sociale
  3. personale.


1) Sguardo o orizzonte biologico. Ne abbiamo già accennato. Dal punto di vista biologico la senescenza non è un problema; è qualcosa di irrilevante anzi è una soluzione. Quando le cellule somatiche, che hanno una mera utilità fino a che si comportano come buone portatrici delle cellule germinali, risultano più di danno che di aiuto per i difetti molecolari che si accumulano, la vita si preoccupa di farle fuori prima con l’invecchiamento e poi con la morte: la morte è una funzione della vita.
La morte è lo spazzino di cui si serve la vita per togliere di mezzo tutti i suoi detriti, tutti i suoi scarti. Ciò che noi riteniamo nobile, elevato, la nostra personalità, la cultura, il mondo delle idee, la storia, gli eroismi, gli amori che trovano espressione nelle nostre cellule somatiche, sono pure e semplici “strategie del gene”, cioè strategie che il “gene” mette in atto per immortalarsi, per continuare ad esistere: è l’astuzia del gene che realizza i suoi scopi provocando e usando i nostri progetti, le nostre speranze, le nostre mete, le nostre illusioni.
Tutto ciò può essere sconfortante, deprimente ma dal punto di vista biologico è purtroppo, lo vogliamo o no, molto vero.
A questo punto viene la domanda: che senso ha prendersi cura della vecchiaia se questa dal punto di vista biologico è irrilevante, non è un problema anzi è la soluzione del problema vita? Primo corno del trilemma.


2) Orizzonte o sguardo sociale. Dal punto di vista della società o del consorzio umano, quale rilevanza ha la vecchiaia? La società cambia. La società di ieri è diversa da quella di oggi. Nella società di ieri la vecchiaia aveva una rilevanza particolare. Il vecchio era il deposito della memoria storica e culturale di un popolo; era il depositario della tradizione, cioè di quel sapere tradizionale che doveva essere trasmesso alle generazioni future, un sapere necessario alla stabilità e funzionamento del consorzio umano. Quando parlo di sapere, intendo sia il sapere mitologico -erano i vecchi che raccontavano i miti delle origini e disponevano gli esatti rituali per la celebrazione dei miti, raccontavano ai piccoli le favole, regole della condotta morale -sia il sapere materiale, cioè le giuste modalità di esecuzione delle opere materiali. Se ne deduce la centralità del vecchio nelle società antiche.
Ma la società di oggi è cambiata. Negato il sapere tradizionale, negato uno stretto rapporto col passato, affermate l’originalità e la continua innovazione delle conoscenze, negato il principio di autorità, la figura del vecchio diventa irrilevante, e non solo irrilevante ma ostacolante: il vecchio non è più una risorsa ma diventa un problema, un intralcio, un bastone tra le ruote. La tecnologia ha rivoluzionato tutto, le conoscenze, gli strumenti invecchiano subito, si consumano subito sia nella loro funzione, sia nella loro importanza: tutto deve essere consumato per far posto all’altro; il vecchio deve farsi da parte e cedere il posto al nuovo. “Sic stantibus rebus”, stando così le cose, quale considerazione e quindi quanto tempo, energie, finanze può essere disposta la società d’oggi a spendere per la vecchiaia?
La vecchiaia non è più un capitale umano da investire, ma un residuato inutile dal punto di vista della società, un intralcio, un problema.


3) Sguardo o orizzonte della persona. Si tratta di un orizzonte o di uno sguardo particolare, perché guarda non al processo di invecchiamento o alla vecchiaia come categoria generale, ma al soggetto del processo dell’invecchiamento. Chi è il soggetto del processo di invecchiamento? Non certamente l’uomo, perché l’uomo è una specie, la specie umana, e in quanto specie, è una funzione della vita in generale, un segmento in cui la vita si esprime. Per soggetto si intende un individuo personale. Cosa intendo per individuo personale? Per “individuo” intendo “qualcosa che è in se e per sé”, cioè un qualcosa di “indivisibile”, non riducibile a segmento che, sommato ad altri segmenti forma una totalità. Per “persona” intendo poi, un qualcosa di molto più elevato: “persona” era la maschera che nell’antichità usavano gli attori al teatro per far risuonare ed amplificare la loro voce; quindi “persona” significa ciò che fa risuonare la voce. E quella che risuona in ogni individuo è la voce dell’Eterno, dell’eterno desiderio, al di fuori dello spazio e del tempo, della specie e della razza, della natura e della cultura, desiderio che si avverte come assoluto, desiderio del tutto. Ricordo che un giorno mentre operavamo nella sala operatoria della divisione di dermatologia, il prof. Lospalluti mi pose una domanda a bruciapelo: “Se il processo di invecchiamento è un processo biologico necessario attraverso cui la vita si libera dei residuati, degli scarti, del pus della vita, che senso ha prendersi cura dei vecchi? Non è forse più naturale arrendersi alla vita e lasciare che la vita compia il suo corso? Perché sciupare preziose energie sociali e finanziarie?”
E questo me lo chiedeva solo per risolvere una contraddizione mentale, non certo per regolare il suo atteggiamento e comportamento professionale estremamente rispettosi dell’anziano e del vecchio. La sua domanda fu uno stimolo per il mio pensiero: mi immersi in una lunga riflessione che mi portò a scoprire la medicina personalistica, che non è la medicina umana o l’umanizzazione della medicina. La medicina personalistica o della persona è una modalità di attenzione e di cura che non opera secondo natura, che vorrebbe eliminare residuati e scarti, ma secondo le esigenze delle persone. Il vecchio non lotta contro la morte dal momento che è perfettamente cosciente della sua inevitabile necessità, ma lotta contro la vita che vorrebbe farlo fuori perché non più funzionale a lei. La modalità personalistica della medicina punta da una parte a rafforzare la coscienza del vecchio circa la propria individualità personale ed allo stesso tempo mette in atto tutti quei presidi medici necessari per sostenere tale coscienza e combattere la buona battaglia contro la vita. Come ben vedete, il trilemma si presenta in tutta la sua drammaticità; si tratta di scegliere:

  • il punto di vista biologico
  • il punto di vista sociale
  • il punto di vista personale

Il tipo di scelta, teniamolo presente, darà un volto diverso alla geriatria. E soprattutto ricordatevi che un giorno sarete vecchi anche voi!

Felice Verni

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