Notiziario

Visita pastoraleParrocchia San Ciro – Bari

Relazione sulla visita parrocchiale che sarà tenuta da SE l’Arcivescovo di Bari Mons. F. Cacucci nella nostra parrocchia a fine Settembre 2011.

1) Noi, parroco e comunità parrocchiale, abbiamo riletto le conclusioni della seconda visita pastorale del 3 – 4 e 5 novembre 1995. Abbiamo ritenuto opportuno fare oggetto di attento esame e riflessione non tanto il punto A (”Impressione generale”) ed il punto B (“Rilievi positivi”), quanto il punto C (“Mete pastorali”). Il punto C presenta suggerimenti di carattere pastorale opinabili, ma tenuti nella dovuta considerazione. Ci si è soffermati, invece, sul paragrafo tre del punto  C che recita: “Anche se tra voi vi trovate molto bene, non consideratevi un’isola felice”. Si tratta, com’è ovvio, di un rilievo critico su una forma particolare di autoscienza ecclesiale e della prassi conseguente. Facciamo rilevare quanto non sia molto corretto identificare il concetto e la realtà di “isola” con quello di “isolamento”. L’”isola”, riteniamo, è una buona metafora, con tutti i limiti di ogni metafora, per significare identità (tratti propri ben determinati), differenza (libertà da ogni omologazione), relazione (impossibilità di essere senza l’altro): il mare che circonda l’isola è metafora della relazione. Pensiamo all’isola di Lampedusa: è chiusura o apertura? Ebbene a San Ciro ci sentiamo “cristiani lampedusiani”. La comunione con la Chiesa Universale tramite il Vescovo di Roma ci tiene in comunione con la Chiesa particolare tramite il vescovo della diocesi di Bari – Bitonto. Riteniamo necessario avere uno sguardo universale per cogliere il particolare. La comunità parrocchiale è il precipitato della comunione universale.

2) Motivo ispiratore della vita parrocchiale è l’espressione “ο χρονος  της  παροικίας” di 1 Pietro 1,17. Nel nuovo testamento” παροικία” si trova solo in Atti 13,17 ad indicare il soggiorno da straniero di Israele in Egitto e in 1 Pietro 1,17 per indicare il tempo della Chiesa come soggiorno in terra straniera. Cerchiamo, perciò, di vivere la dimensione parrocchiale come tempo di soggiorno da stranieri, non tanto come esodo o pellegrinaggio, ma come attesa mentre scorre il tempo della fine, tempo opportuno per conformarci a Cristo morto e risorto.

3) Liturgia

il senso della parrocchia come soggiorno in terra straniera e della liturgia come celebrazione performativa della conformazione a Cristo morto e risorto, sono i due pilastri, almeno ci si sforza, della prassi liturgica. Dal momento che la morte e risurrezione di Cristo sono eventi intessuti di drammaticità, solitudine e silenzio, si cercano nella liturgia segni essenziali, evitandone una moltiplicazione che offuscherebbe la realtà significata, parole essenziali per non turbare il sacro silenzio ed una partecipazione essenziale, che non banalizzi la profondità degli eventi che si celebrano. Per “essenziale” intendiamo quella partecipazione attiva di cui scriveva San Pio X, da non confondere con una “democratizzazione della liturgia”, ma da vivere come un prendere parte consapevolmente, con tutto il proprio sentimento e intelletto, all’azione sacrificale di Cristo e al proprio offrirsi a Lui, associati al suo sacrificio.

4) Catechesi

La catechesi ha innanzitutto una finalità informativa e preparatoria alla liturgia, anche se non si deve escludere, nell’ambito della fede e della grazia, una azione performativa. La catechesi parrocchiale si articola in due grandi sezioni:

  1. per battezzati dall’età scolare fino all’ultimo anno di scuola media superiore;
  2. per giovani e adulti di qualsiasi età.

La partecipazione, per quanto ci sembri, è costante e attenta.

5) Carità

La carità, intesa come forma concreta di aiuto al prossimo, è evenienziale e volutamente non istituzionalizzata. Si esplicita in aiuti di carattere economico, scolastico, legale, medico e psicologico, il tutto in un clima di attenta discrezione: “Non sappia la mano destra quello che fa la sinistra”.

6) Risultati

Sono noti solo a Dio e, può darsi, anche al nostro vescovo.

Bari, 30.08.2011                                                                        

Il parroco e la comunità


FAME E SETE DI DIO

Lettera alla comunità parrocchiale della Parrocchia San Ciro in Bari a conclusione della Visita pastorale (29 settembre — 2 ottobre 2011)

A te, caro don Felice, e a voi tutti, fratelli e sorelle di questa famiglia parrocchiale, grazia e pace in abbondanza (1 Pt, 3). Non solo la relazione sulla vita della parrocchia, che mi avete presentato, ma la conoscenza che credo di avere della vostra bella comunità mi confermano nella convinzione che cresce sempre più in voi la coscienza di costituire quello che chiamerei il «gregge di Dio escatologico», quello che guarda, cioè, al futuro di Dio.

1. In ascolto del Signore e dei segni dei tempi

La Prima Lettera di san Pietro, vostro riferimento nella relazione pastorale, esorta a «comportarvi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri» (1,17). Chi sono gli eletti? Sono coloro che «erranti come pecore» sono «stati ricondotti al pastore e custode delle nostre anime» (2,25). Non verso un luogo statico e circoscritto, come la città o l’ovile (o il territorio parrocchiale, diremmo noi), ma verso una Persona vivente, Cristo Buon Pastore. Per ricondurre al Pastore, è necessario sperimentare sempre una nuova dispersione. Tuttavia, non «ciascuno seguendo la sua strada» (/s. 53,6), ma uniti in un solo gregge ( l Pt. 5,2), sulle orme del Cristo Pastore (2,21). Siete chiamati a costituire, nella dispersione, una profonda unità spirituale, che trascende il frazionamento geografico, sociale, culturale. Perciò ho sempre considerato la parrocchia di San Ciro un segno di fraternità — sparsa — nel mondo (5,9).

2. Considerazioni sulla vita della comunità

Mi piace vedervi così: dalla dispersione in vari luoghi e ambienti convergete verso la riunificazione, soprattutto nella catechesi settimanale e nell’Eucaristia domenicale, per poi ancora disperdervi in modo nuovo nella vita di ogni giorno. Ecco perché avete ben sottolineato che la dispersione è l’unica possibile condizione di esistenza nel tempo della paroikía (1,17). Convergere qui da luoghi diversi, da esperienze diverse per incontrare Gesù Maestro e Pastore evoca il cammino dei discepoli del Signore che non hanno qui un luogo permanente in cui stabilirsi come beati possidentes (beatamente sistemati). Anch’ io non considero la parrocchia come un ovile chiuso da un recinto nel quale gli eletti si sentono tranquilli e protetti. È superato il tempo delle comunità locali territoriali rigidamente intese, benché il riferimento al territorio conservi un valore di fondo a tutt’ oggi insostituibile. San Pietro aggiunge che dovete sentirvi «gregge di Dio»(5,2). Ciò comporta il diritto di essere pascolati dai presbiteri non in modo qualunque, ma secondo il modello di Cristo. Il gregge ha diritto a tutta la misericordia, l’attenzione e la cura, cioè a pastori buoni. Come vescovo, mi sono profondamente rallegrato quando avete testimoniato la gioia di essere guidati da un parroco «secondo il cuore di Cristo». Ne ricavo un’immagine di Chiesa che sottolinea docilità, vitalità dinamica e aperta, sicurezza fiduciosa, comunione profonda. Ho respirato ancora una volta questo clima durante la visita agli ammalati, il saluto agli esercizi commerciali, l’incontro a Scuola con i ragazzi e i loro insegnanti.

Nella Lettera di s. Pietro l’aspetto della comunione spicca maggiormente in una visione più ampia di Chiesa. Una comunione che si esplica a diversi livelli: di Pietro con le guide della comunità d’Asia Minore («con-presbitero»), dei presbiteri con il gregge, degli stessi presbiteri con il «Pastore supremo». Un rapporto di comunione, quindi, particolarmente forte. Di qui si dispiega l’urgenza dell’evangelizzazione – testimonianza, che si realizza soprattutto tramite il comportamento onesto e la pratica del bene. La fedeltà alla propria vocazione permette di realizzare una presenza autenticamente anticonformista sulla quale anche i non credenti s’interrogano. E, oltre i non credenti, anche i cosiddetti “lontani”. La missione evangelizzatrice della comunità cristiana (2,9), la sua dimensione sacerdotale (2,4.8) e il suo concreto impegno nel bene costituiscono una coerente attuazione della sua identità. Voi, in modo essenziale, state vivendo tutto ciò con l’approfondimento della Parola di Dio e della Tradizione della Chiesa nella catechesi settimanale, nella viva partecipazione alla Liturgia domenicale e nella strategia missionaria fondata sulla testimonianza dell’agathopoiéo (impegnarsi nel bene).

 È questo un modo originale e biblicamente fondato di quella che chiamo mistagogia, ingresso cioè nel Mistero, condotti per mano dal Buon Pastore.

3. Indicazioni pastorali

Questa ricchezza deve sempre più. confluire in quella visione di Chiesa che il Concilio Vaticano II ci ha ampiamente delineato. Da qui sono partite le mie riflessioni durante l’assemblea parrocchiale. Dice il Concilio: «le Chiese particolari (sono) formate ad immagine della Chiesa universale e in esse e da esse è costituita l’una e l’unica Chiesa Cattolica» (Lumen Gentium n. 23). Ancora: «nella Chiesa particolare è veramente presente ed agisce la Chiesa di Cristo Una, Santa, Cattolica, Apostolica» (Christus Dominus, n. 11). Il contatto tra Chiesa locale e Chiesa universale è un contatto d’identità, non tra tutti gli elementi, ma tra gli elementi essenziali della Chiesa di Cristo e quelli della Chiesa locale. In forza di tali elementi essenziali (oggettivi: Sacra Scrittura, sacramenti, carismi-ministeri; soggettivi: fede, speranza, carità) si può dire che la Chiesa locale è presente nella Chiesa universale e viceversa. A fondamento della Chiesa locale c’è il rapporto Eucaristia-Chiesa. E nella Chiesa locale il vescovo è visibile principio e fondamento di unità (LG n. 22). Nel vescovo si mantiene la continuità della Chiesa locale con la Chiesa degli Apostoli e la sua apertura alla Chiesa universale. L’annuncio della Parola e, in particolare, la celebrazione dell’Eucaristia meglio rivelano la saldatura del vescovo con la Chiesa locale. Il Concilio lo sottolinea. È a partire dall’altare del vescovo, nell’unità dello stesso sacerdozio, che i presbiteri celebrano l’eucaristia. Dallo stesso altare, ogni Giovedì Santo, parte la materia dei sacramenti, perché si vive il mistero di Cristo nella Liturgia e nella comunione ecclesiale. Durante la Messa, infatti, oltre che per il Papa, si prega per il vescovo della Chiesa locale. Naturalmente di questo siete consapevoli. Vi chiedo però la carità di trasfondere la vostra ricchezza in una comunione non solo affettiva, ma effettiva, concreta con i fratelli nella fede delle altre parrocchie del Vicariato e della Chiesa locale. E questo attraverso una partecipazione convinta agli incontri vicariali e alle assemblee diocesane. L’esperienza e la preparazione che il Signore vi concede siete chiamati ad estenderla ai fratelli.

4. Con lo sguardo rivolto a futuro

L’apostolo Pietro nella sua Prima Lettera esorta a sentirvi “casa”. La casa, ovviamente, non è solo il “recinto parrocchiale”, ma si allarga in modo privilegiato al territorio, la cui popolazione è in crescita. La riqualificazione urbana del territorio ha trasformato e continua a trasformare l’ambiente sociale di Mungivacca. Tutti siete chiamati a considerare il territorio con uno sguardo di attenzione e di amore, anche voi che provenite da luoghi diversi. Non potete sentirvi solo fruitori delle ricchezze di grazia che l’ambiente parrocchiale offre. Altrimenti la parrocchia potrebbe apparire una stazione di servizio, qualificata quanto si voglia, ma tendente a chiudersi nel proprio guscio. Vorrei concludere con le stesse parole di san Pietro. Vi ho parlato «per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi» (5,6). L’amicizia e la stima che nutro da lungo tempo verso Don Felice l’ho trasfusa in tutta la vostra comunità. Continuate a camminare con la letizia del cuore.

Francesco Cacucci – Arcivescovo