Etica 01 del 09.12.1996

La ricerca etica si è affermata in un periodo molto particolare della storia dell’Occidente.

Sapete cosa vuol dire “Occidente”? Vuol dire “Terra del tramonto”. Noi siamo nella terra del tramonto, perciò abbiamo tutti i problemi dell’ora del tramonto: il problema del freddo, il problema della difesa dalle tenebre, ecc.; sono tutti sintomi di una civiltà dell’Occidente e cioè del tramonto.

Questa ricerca etica ha iniziato a far capolino in modo piuttosto deciso verso gli anni ‘70, in conseguenza della grande rivoluzione del ‘68.

Io sono diventato prete nel ‘68, quindi sono un prete sessantottino. E mi ricordo che, quando mi sono iscritto alla facoltà di filosofia, sempre nel ‘68, c’erano sui muri tante belle scritte del tipo “Cloro al Clero” e anche “Prete, ti spunta un foro in bocca! Firmato ‘P-38’”.

Nel ‘68 avvenne qualcosa di molto importante, non voglio qualificarlo positivo o negativo, dico solo che fu importante. Venne messo sotto accusa il concetto di “Stato” ed il concetto di “Legge”. Lo Stato e la Legge. La Legge come sintomo dello Stato; lo Stato come estensione più forte, più decisa della Legge.

Stato, autorità e Legge. Questo il trinomio che fu sbalzato dalla rivoluzione del ‘68.

Chi si distinse in questa lotta contro lo Stato fu proprio il pensiero Marxista. Negli anni ‘60 lo studio sul marxismo iniziò in una università, come ricerca, da parte del filosofo H. Marcuse. Infatti, in quel periodo andavano di moda “le tre ‘M’”: Mao, Marx e Marcuse.

La lotta fu decisa contro lo Stato, perché lo Stato veniva considerato l’ostacolo verso la società civile. Dove c’è Stato non c’è società civile. Dove c’è società civile non c’è bisogno di Stato. Dove c’è Stato c’è autorità e c’è la Legge. Dove non c’è Stato c’è, o ci deve essere (questo è un altro grosso problema), la società civile. La società civile non ha più bisogno di Legge e di autorità, perché la società civile si ispira ai valori.

Quindi allo Stato si sostituisce la società civile, e alla Legge si sostituiscono i valori.

Qual è la differenza tra lo Stato e la società civile? È grandissima. Nella società civile l’individuo, ognuno di noi, si sente immediatamente un tutt’uno, all’unisono con tutta la comunità. Non ci sono problemi tra l’individuo e la comunità e viceversa, ma c’è una immediatezza di comunicazione tra l’individuo e la comunità. Questa è la società civile!

Quindi la società civile è basata su una comunicazione immediata tra individuo e genere. Laddove non c’è, invece, questa comunicazione immediata tra individuo e comunità allora nasce lo Stato. Lo Stato come figura necessaria per mediare il rapporto tra individuo e “genere”: quando nasce lo Stato vuol dire che i rapporti tra individuo e genere non sono più positivi, vuol dire che c’è bisogno della Legge, della sanzione, della repressione e di tutto ciò che la Legge porta con sé.

L’euforia, negli anni ‘70, era tale, per la convinzione di aver distrutto finalmente lo Stato, la Polizia, la Legge, il Diritto, l’autorità, che si pensava dovesse nascere immediatamente la società civile, cioè quella relazione immediata tra l’individuo ed il resto della società.

Il collante della relazione immediata tra individuo e società avrebbe dovuto essere i valori; quindi, alla Legge si sostituivano i valori.

Ecco da dove è venuta fuori l’etica dei valori. È sorta in contrapposizione, in contrasto. Ora, essendo l’Etica la scienza che studia, che cerca di capire i valori come collante immediato tra individuo e genere, è chiaro che questi valori non possono essere oggetto di discussione, di trattazione, di compromesso, perché se questi valori-collante, che devono permettere il rapporto immediato tra l’individuo e la società, dovessero essere sottoposti a revisione, è chiaro che ricomparirebbe nuovamente lo Stato.

Quindi, questi valori che devono fare da collante tra individuo e società devono essere intuiti immediatamente, devono possedere il valore dell’immediatezza, in modo da essere capiti subito, al volo, senza tanto discutere. Per questo li hanno chiamati “i valori comuni”. Proprio perché sono comuni non hanno bisogno di discussione, di comprensione, di trattazione, di un’autorità che decide in base alla maggioranza e alle minoranze, in base alle quantità. Devono essere valori comuni.

Perché i valori sono diversi dalla Legge: la Legge è un’imposizione dello Stato, mentre il valore è ciò che è fruibile dalla società in maniera immediata. Proprio perché sono immediati, questi valori non possono essere oggetto di discussione, non possono essere “trattati”.

Il Diritto usa questo sistema della trattazione; i francesi lo chiamano “[partaise]”, cioè ripartire le quantità (tanto a te, tanto a te e tanto a te). I valori, invece, devono essere comuni, e “comuni” vuol dire “immediati”, devono essere universali. Perché se questi valori sono di un gruppo etnico ma non lo sono di un altro, siamo al punto di partenza, ci vorrebbe un’autorità superiore che decida in caso di conflitti, ecc.

L’individuo sta al genere come l’etnia sta al popolo, come un popolo sta al continente come un continente sta a tutto l’ordine planetario. Si risolve il particolare nell’universale.

Questi valori devono essere immediati e per essere immediati devono essere universali, per permettere il passaggio immediato dalle etnie, dai popoli a relazioni internazionali, planetarie, globali; costruire quindi il sistema globale.

A chi bisogna ispirarsi perché questi valori comuni siano universali? Alle procedure scientifiche. L’ultimo approdo dell’etica è l’approdo scientifico, perché soltanto la scienza, secondo questa impostazione, può dare delle conoscenze e dei valori che godano allo stesso tempo di immediatezza e di universalità.

Questo è il “postulato etico” della scienza. La scienza è un postulato etico poiché tutte le tavole dei valori precedenti sono state relegate nella preistoria dell’umanità: la metafisica, la filosofia, la religione, sono tavole metafisiche, filosofiche, religiose che ormai fanno parte della preistoria dell’umanità, perché non sono per niente universali. E poiché queste, ormai, sono parte della preistoria, non possono essere punti di riferimento, valori comuni per tutta l’umanità.

Se tolgo la metafisica, la filosofia, la religione, cosa rimane di universale? La scienza.

Lo “scientismo” è l’assolutizzazione della scienza, della scienza con le sue procedure formali.

La scienza riesce ad essere universale solo perché è formata, è formalista, è astratta, tratta idee molto generali, perché appena la scienza va nel concreto deve molto spesso far finta di non vedere le eccezioni che ci sono, le irregolarità. Non le deve vedere per poter continuare a difendere una legge universale, in attesa che venga fuori un’altra legge che riesca a ricomprendere quelle eccezioni, quelle irregolarità, per spiegarle. Nel frattempo, bisogna negare quelle irregolarità, perché altrimenti si corromperebbe quella legge universale. La scienza lavora cosi.

Il postulato etico della nostra civiltà è proprio lo scientismo. Lo scientismo che permette di evitare la deriva da una parte e dall’altra, permette di evitare di cadere nell’errore. Quindi lo scientismo è l’universalità della scienza. L’Etica avrà sempre più un taglio scientifico.

Ecco perché, a volte, quando qualcuno si pone la domanda “L’Etica è religiosa?”, che ipotizza un Dio come fondamento dell’Etica, si vede subissato di rimproveri da parte di chi non crede in Dio e che afferma che l’Etica non può e non deve essere religiosa.  Questo perché quella di Dio è un’idea che dal punto di vista scientifico non funziona proprio.

Quindi l’Etica o si costruisce laicamente, secondo criteri di scientificità – perché solo la scientificità trasmette valori comuni ed universali – oppure non si costruisce proprio.

Le discussioni sull’etica sono andate avanti molto bene nel campo della Chiesa Cattolica, perché nella Chiesa Cattolica avevamo un punto di riferimento ed era quindi più facile costruire un’etica. Ma subito dopo è scattata un’invidia da parte dell’“etica laica”.

Personalmente sparo a zero sull’Etica, perché è una falsità e l’etica religiosa è ancora più falsa. Quella laica si può far passare, però è sempre qualcosa su cui io sparo a zero perché l’Etica, come diremo dopo, è un imbroglio per tutta l’umanità.

L’operazione falsa che è stata portata avanti a proposito dell’Etica è la seguente: è stato isolato un elemento – l’Etica – da un contesto molto più vasto, perché l’Etica è uno dei momenti volti a caratterizzare l’etnia.

La parola “Etica” viene dal greco “Etos”. L’“Etos” è un segmento di un sistema complesso che si chiama “Etnos”, da cui la parola “etnia”. L’“Etnos” è fatto da tanti segmenti che ne compongono il sistema e sono: l’“Epos”, l’“Etos”, il “Logos” e il “Topos”.

L’Etnos è un complesso simbolico vissuto come caratteristica di una società, un complesso di fatti che prendono la qualità di simboli e che vengono vissuti come caratteristiche di un popolo, di un gruppo sociale: l’etnia.

Il primo segmento è l’Epos (da cui le parole “epica”, “epopea”). L’epos è la trasfigurazione simbolica della memoria storica, del passato. Si parla di epopea babilonese, di epopea greca, ecc. Sono trasfigurazioni simboliche del passato. Non è possibile una etnia senza la trasfigurazione simbolica della memoria storica, senza memoria storica non è possibile l’etnos. Ecco perché i sistemi etnici ci tengono a ricordare i fatti passati, i fatti antichi, continuamente trasfigurati, simbolizzati, perché l’epos è il combustibile che accende una etnia. Se non c’è l’Epos non c’è l’Etnos.

Ma l’epos non basta. È anche necessario l’Etos, l’etica. L’Etos è la sacralizzazione di leggi di origine religiosa o civile: la legge di Dio, la legge del Papa, la legge del Re.

“Sacralizzare” vuol dire “bloccare”, “ingessare”, “dogmatizzare”; significa dire che così è e che non cambierà mai. Senza una sacralizzazione di una legge di origine religiosa o civile è impossibile l’etos ed è impossibile l’etnos.

Il Logos è il mezzo di comunicazione, il linguaggio che caratterizza una etnia.

Il Topos è il luogo, la trasfigurazione simbolica del luogo: i confini sacri della patria. Il topos è la trasfigurazione simbolica della madre terra.

L’Etnos, l’etnia, è fatta dalla congiunzione di Epos-Etos-Logos-Topos.

Qual è, quindi, l’errore di questa impostazione etica universalistica? Chi ha preso l’Etos e l’ha disgiunto dall’Epos, dal Logos e dal Topos, l’ha estrapolato quando, come sotto elemento di un sistema più complesso, non era estrapolabile ed isolabile. Ha compiuto un’opera di astrazione. “Astrarre” vuol dire togliere un elemento dal suo contesto vitale, dal contesto che lo nutre, dal terreno che lo regge e lo nutre continuamente.

Tolto l’Etos, cioè la legge sana, dal contesto dell’Etnos e separatolo dal Logos, dall’Epos e dal Topos, questa legge non ha più senso, è semplicemente un’astrazione. Ecco perché l’etica non funziona più, non funzionerà mai; perché questi benedetti valori comuni, universali non si troveranno mai. Questa è la falsità dell’etica. La falsità dell’etica sta in questa pretesa immediatezza: non può essere immediata, perché è stato fatto un lavoro di astrazione dell’etica, è stata tolta da tutto il contesto che le è proprio (dell’etnos, dell’epos, del logos e del topos). L’etica è una falsità perché – ma non lo vuole riconoscere – parla di immediatezza laddove sa bene che ha dovuto fare un’opera di rottura, di taglio e di astrazione. Esiste un Etos solo prendendo un Etnos.

Il grande filosofo Hegel usava la parola “Etica” in un senso e la parola “Morale” in un altro senso. L’Etica – secondo Hegel – era il “principio dell’azione immediata”, la Morale era il “principio dell’azione riflessa”.

Io mi sento un moralista e non un etico, perché l’Etica è falsa, mentre la Morale riflette. Basta pensare ai grandi moralisti del ‘700 e dell’‘800: uomini grandi che non si facevano abbagliare da queste pretese di immediatezza, uomini che sapevano cosa c’era dietro queste immediatezze e cioè soltanto la paura di non trovare niente, uomini che non avevano paura di guardare il vuoto e di stargli innanzi. Questa è la differenza tra una persona etica e una persona morale. Una persona etica è una persona immediata, che pensa che ci possa essere un punto di riferimento immediato. La persona morale, la persona che sa che non c’è nessun punto immediato di riferimento e sa sopportare questa mancanza di riferimento immediato, riflette su questo e la sua vita diventa saporosa, sapiente e saggia, non ha bisogno di essere accontentato subito, non è un bambino. Non è un bambino che deve essere subito protetto, subito liberato da queste sue paure.

C’è una scienza che rassomiglia molto all’Etica: l’Etologia. È una scienza che nasce in Europa, 40-50 anni fa, mi sembra in Austria. Fondatore di questa scienza è Konrad Lorenz, famoso per i suoi esperimenti con le oche. L’etologia, infatti, studia il comportamento animale.

Cosa ha a che fare l’Etologia con l’Etica? Ha a che fare, perché Etologia vuol dire proprio “studio (-logia) dell’etos”. L’Etica non fa altro che imparentarci con gli animali, perché gli animali hanno un agire e un comportamento immediato.

Il termine “chiave” nell’Etologia è l’“imprinting”. L’imprinting è la matrice che ogni animale porta con sé dalla nascita. Non si tratta di qualcosa che l’animale riceve dall’esterno, dall’ambiente, ma di qualcosa che riceve per via genetica. Attraverso i cromosomi c’è nell’animale questa matrice, questo imprinting comportamentale per cui non potrà comportarsi in maniera diversa da quella che è la sua natura.

La parola “Etos” significa propriamente “carattere”, “comportamento invariato”, “abitudine”. Questo è l’Etos.

È chiaro che, volendo dare alla società dei valori comuni e volendo vedere la società come la riconciliazione immediata tra l’individuo e tutto il resto della specie, bisogna scoprire un imprinting, un carattere che permetta questa relazione immediata senza problemi di autorità, di Stato e di Legge, così come per la vita degli animali. Gli animali sono un tutt’uno: non esiste l’individuo animale, esiste la specie animale e l’individuo animale, se voi l’osservate bene, è la perfetta immagine, il perfetto rispecchiamento della specie. Ecco perché gli animali non hanno lo Stato, la Legge, la Polizia, le carceri, non hanno niente. L’etica vorrebbe ridurci ad oggetti di studio dell’etologia. L’unico modo per l’etica di riuscire bene è quello di diventare etologia. Se l’etica riuscisse a diventare etologia farebbe la conquista più grande del mondo, perché identificherebbe immediatamente ognuno di noi con la specie: non ci sarebbero l’autorità, Stato, ecc.

Noi vivremmo “contenti” di questa immediata identificazione, annullamento, liquefazione, dispersione e perderemmo quella che è la caratteristica che ci distingue: la coscienza individuale.

DOMANDA: “Cosa centra l’Etos dell’animale con l’Etos umano?”

RISPOSTA: Gli eticisti vorrebbero che la nostra società, in fondo, rassomigliasse a quella degli animali. Ecco perché l’etica è una falsità ed io al posto dell’etica scelgo la morale.

Tanto per darvi un’idea, vi leggo una descrizione del “moralista ideale”: “…una combinazione di slancio civico e di cinismo, esaltato e glaciale, diffuso e incisivo, osservatore dei costumi su sé stesso. La minima attenzione che rivolgesse a sé gli svelerebbe le contraddizioni della vita. Tutto si dissolve sotto l’occhio scrutatore del moralista. Le passioni, i legami sono proprio degli spiriti semplici; chi ama non esamina l’amore. Situato agli antipodi dell’ingenuità, dell’esistenza integra ed autentica, il moralista si esaurisce in un faccia a faccia con sé stesso e con gli altri. Tutto gli sembra convenzione, simulacro”. Questo appartiene alla figura del moralista.

All’occhio dell’etico, invece, è tutto imprinting, legge, costume, carattere, valore comune. Dovunque è così. Ma l’etico, in quanto uomo, ha un angolo di moralismo dentro di sé e sa benissimo che l’etica è una perfetta bugia. Ogni immediatezza è una perfetta bugia.

La morale, in quanto riflessione, è vera.

DOMANDA: “Questa degenerazione dell’Etica è tipica dell’Occidente o è qualcosa che esisteva già nell’universo filosofico greco?”

RISPOSTA: Già allora c’era questo problema dell’etica. Nell’occidente, attraverso fasi alterne, siamo arrivati alla fine del ciclo. L’errore è stato quello di togliere l’Etica dal suo contesto. Ora siamo, come si suole dire, alla frutta.

DOMANDA: “Il termine “moralista” in genere è usato in senso opposto, dispregiativo?”

RISPOSTA: Purtroppo si! Vi dico sempre che dovete fare attenzione a distinguere ciò che è “normale” da ciò che è “comune”. Ciò che è “normale” vuol dire che è “secondo norma”, ciò che è “comune” può anche essere sbagliato. Il fatto che un vocabolo sia di uso comune in una certa accezione non vuol dire che quella accezione sia autentica, cioè normale. Può darsi si tratti di una degenerazione. Quindi attenzione a non confondere ciò che è usuale, ciò che è di osservazione diffusa, con ciò che è normale, perché molte cose sono diffuse, comuni, ma non sono per niente normali e tante cose normali non sono per niente diffuse. Tra i politici l’imbroglio è diffusissimo, ma non posso dire che l’imbroglio sia normale, dirò, appunto, che è diffuso. È importante capire questo per evitare di adeguarsi alle cose comuni solo perché sono comuni, diffuse.

La verità è inversamente proporzionale alla vita. Mentre l’Etica tende alla sopravvivenza della specie, la verità non tende alla sopravvivenza di nulla. Questa è la verità. Perciò tra verità e vita c’è un rapporto, secondo me, di proporzionalità inversa. Provate a dire sempre la verità e vedrete che cosa vi capita! Gesù disse la verità e finì inchiodato alla croce. Se volevate verità domestiche e addomesticate potevate restare a casa vostra.