Critica psicoanalitica 03 del 15.03.1999

Il tema, o la tesi della psicoanalisi è la relazione io-mondo. Perché ho detto il “tema” o la “tesi”? Perché “tema” ha la stessa radice di “tesi” (dal verbo greco “titemi”, che vuol dire “porre”). Non ho detto “l’oggetto della psicoanalisi”, perché la parola “oggetto” fa immediatamente riferimento ad un soggetto. L’oggetto è un termine dialettico. Il termine oggetto è già carico di storia, di sangue, di lacrime, di polvere. Voi pensate, per esempio, che l’oggetto sia il microfono!? La prima cosa che fate appena dico una parola è di identificarla subito con una cosa. Questo non è esatto. Se dico “tecnica”, subito pensate ai prodotti ultimi della tecnica.

Se dico “oggetto”, subito pensate ad un oggetto particolare. Ma non è così. Quando uno dice “tecnica” si riferisce a quelle condizioni di pensiero capaci, poi, di dare un prodotto tecnico: se non ci fosse un pensiero, un’idea tecnica non sarebbe possibile produrre un prodotto tecnico. Quindi, quando parlo di “tecnica” mi riferisco a quella “mens”, a quel pensiero che rende possibili tutti i prodotti della tecnica. Quando parlo di oggetto non mi riferisco ad un oggetto particolare, ma all’“oggetto”.

L’oggetto sarebbe quella data forma di pensiero che rende possibile il processo di oggettivazione, cioè la creazione continua di oggetti all’infinito. Quando dico “soggetto”, non intendo dire un soggetto in particolare, ma quella “mens”, quel pensiero che permette di produrre tanti soggetti particolari all’infinito. Siccome il concetto di oggetto è carico, pieno, denso di storia, di dialettica, di lacrime, di sangue, ed è un concetto già dialettico e quindi relativo, allora, riferendomi alla psicoanalisi, uso le parole “tesi” e “tema”.

Stasera faremo una spiegazione dei termini. La Chiesa, mutuando dal pensiero di Aristotele, Platone, dagli Stoici, da San Tommaso, da Sant’Agostino, mise su un tipo di filosofia – detta Scolastica – ad uso delle scuole teologiche e filosofiche. Sui libri di filosofia Scolastica prima si enunciava la “tesi”, dopo la tesi c’era una parte che veniva chiamata “esplicatio terminorum” (spiegazione dei termini). Questa parte era importante, perché se non ci si intendeva sui termini usati nella tesi si potevano ingenerare confusioni all’infinito. Quindi, dopo aver enunciato la tesi della psicoanalisi, che è la relazione io-mondo, esaminiamo questi tre concetti: “relazione”, “io” e “Mondo”.

Che cos’è la relazione? Non pensate subito ad una relazione concreta, ma a quel tipo di pensiero che rende possibile una relazione. Che significa “essere in relazione”? La relazione è ciò che si mette in atto a partire da una mancanza, da una assenza. La relazione è un concetto negativo. Perché l’Assoluto non si mette in relazione a niente e a nessuno? Proprio perché è Assoluto. La relazione scatta proprio dopo la presa di coscienza di una mancanza, di una assenza. Questa mancanza e questa assenza pone la mente in relazione. La relazione è quel processo che si instaura a partire da una coscienza di assenza, di privazione, di mancanza di essere: là dove c’è una coscienza di mancanza di essere, di una privazione di essere o di una possibile mancanza o privazione di essere, subito scatta la relazione.

Quando il maschio si accorge di essere maschio e di non essere femmina, allora si pone in relazione con la femmina. Quando la femmina si accorge di non essere maschio, le viene l’invidia di non essere maschio e si pone in relazione. Anche per il maschio vale la questione dell’invidia, anche il maschio è invidioso di ciò che non è e si pone in relazione. Questo è il punto di partenza della relazione.

Ma a che cosa approda la relazione? Approda ad “altro”. Cosa significa? Significa che se io mi metto in relazione mi faccio definire, mi faccio certificare, mi faccio identificare da colui o da ciò con cui mi metto in relazione.

Chi definisce il padre? Lo definisce il figlio. Chi definisce il figlio? Lo definisce il padre. Se il figlio dice al padre: “tu non sei più mio padre” e se ne va, il padre non è più padre. Se il padre dice al figlio: “da questo momento tu non sei più mio figlio”, il padre non è più padre e il figlio non è più figlio. Nella relazione il nostro essere non sta più in noi stessi, ma sta in un altro. Questa è la maledizione della relazione: il nostro essere non sta più dentro di noi ma sta in un altro. Infatti, la relazione si definisce “esse in alio” (stare in altro).

Cosa vuol dire “relazione io-mondo”? Significa che l’“io” si definisce attraverso il Mondo e che il Mondo si definisce attraverso l’“io”. L’“io” non ha alcuna consistenza al di fuori della relazione con il Mondo e il Mondo non ha alcuna consistenza al di fuori della relazione con l’“io”.

Questo lo aveva capito molto bene il filosofo economista Karl Marx, il quale, nell’opera “La questione ebraica”, fa i conti con la religione e scopre cosa c’è sotto di essa. Marx dice: “la regione è l’oppio dei popoli”. È proprio così. Fede e religione sono due cose diverse. La religione è l’oppio dei popoli, vi fa addormentare. Marx, poi, aggiunge: “…è il sospiro di una anima in un mondo senza anima”. Cioè la religione è il sospiro, il lamento di una anima, cioè di una psiche, di un “io”, in un mondo che è senza anima, senza un “io”.

Perché l’“io” diventa religioso? Perché non ha un Mondo in cui si ritrovi e si rispecchi, cioè non ha relazione col Mondo. Facciamo un esempio: ad un operaio vengono sottratti il suo lavoro e i suoi prodotti e questi diventano di un padrone che si serve dei prodotti che il suo operaio gli ha dato per sottometterlo. Che significa questo? Che l’operaio è un “io” che è stato privato del suo Mondo, cioè gli oggetti prodotti. Anzi, questi oggetti prodotti si sono ritorti contro di lui. Allora abbiamo un “io”, cioè un’anima, che non ha più un Mondo in cui rispecchiarsi e un Mondo (di prodotti) che è reificato, oggettivato senza il vero soggetto che è colui che l’ha prodotto. Quindi, ciò che nasceva come unità io-mondo nella produzione, nel lavoro, viene scisso: per cui abbiamo un “io” che rimane come un sospiro vuoto, che non ha più un Mondo in cui ritrovarsi, e un Mondo che si ritorce contro colui che l’ha fatto, che è estraneo a colui che l’ha fatto (per “Mondo”, in questo caso, intendo i prodotti del lavoro). Ora, quando l’essere umano – dice Marx – si trova con un’essenza vuota, cioè senza un’essenza, senza gli oggetti che ha prodotto, che cosa fa? Inventa la religione, cioè la sua capacità di produrre non è più a livello concreto, materiale, ma diventa una produzione di carattere solo mentale. Costruisce un altro tipo di Mondo che è il Mondo della religione: costruisce Dio, la Madonna, i Santi, la Chiesa, costruisce tutto, cioè si ricostruisce un suo mondo che è il Mondo religioso, un Mondo, però, puramente fantastico sostituto di un mondo concreto, materiale che gli è stato sottratto.

Quindi, prima di tutto – dice Marx – bisogna abolire la religione, perché fino a quando l’uomo sarà confinato in queste produzioni fantastiche è chiaro che non prenderà coscienza di quello che veramente gli è stato tolto. Una volta che avrà preso coscienza di questo potrà finalmente tornare a riappropriarsi di ciò che lui stesso ha prodotto. Quindi “la fine della religione” come premessa per una nuova e felice (cioè ricca di frutti) ripresa di relazione con il Mondo. La relazione io-mondo si chiama psiche.

Per questo dico sempre che il Marxismo, visto bene, è una psicologia universalizzata, perché quello che preoccupa Marx è la relazione io-mondo.

Che cos’è il Mondo? Il Mondo è la volontà originaria di mettersi in relazione con un “io”, perché se il Mondo non avesse un “io” sarebbe un Mondo che giace nella sua oggettivazione. Esempio: se noi avessimo questa Chiesa tutta attrezzata, con i banchi, i microfoni, ma non ci fosse nessuno, avremmo un Mondo senza un “io”.

L’“io” che cos’è? È la volontà originaria di avere un Mondo. L’uno senza l’altro non possono stare.

Il brutto della relazione è che è proprio una relazione, perché se l’“io” e il Mondo stanno in relazione, cioè in una volontà di volere l’altro, la paura che sta sotto è che il Mondo non si faccia prendere dall’“io” e che l’“io” non si faccia prendere dal Mondo. Quindi, la relazione io-mondo non è una struttura originaria, perché in un certo momento della storia questa relazione, di fatto, si è rotta, tanto da provocare il fenomeno religioso, cioè la produzione fantastica di un Mondo suppletivo che deve prendere il posto del Mondo che abbiamo perso.

Così la Terra diventa una valle di lacrime e noi dobbiamo passare attraverso questa valle di lacrime, perché la vera realtà è quella che sta al di là di questa valle di lacrime, cioè andiamo a figurarci un altro Mondo che è l’esatto opposto di questo.

Perché questo è stato possibile? È stato possibile perché quella che si riteneva essere la struttura originaria, la relazione io-mondo, di fatto non è originaria, perché tutto ciò che è originario non si rompe mai. Di fatto si è rotta, quindi la relazione io-mondo non è originaria. C’è qualcosa che precede l’“io” e il Mondo.

In che rapporto sta l’“io” col Mondo? Sta in un rapporto di soggetto-oggetto. Questi termini non sono pacifici, sono termini che grondano sangue. Noi li usiamo senza preoccuparci di quello che possono significare, ma in realtà hanno una storia.

La parola “soggetto” deriva dal latino “sub-iacet”, cioè “stare sotto”. La parola “oggetto” indica ciò che sta di traverso (ob-iacet), ciò che ti sbarra la strada, ciò che ti giace di fronte, è il tuo limite. Il soggetto sta sempre sottoposto a questa azione dell’oggetto che lo limita, infatti l’oggetto, inteso in senso metafisico, ci sfugge continuamente. Appena abbiamo conquistato un oggetto, la capacità di oggettivare rimane sempre all’infinito, come è infinito l’oggetto. Quando si entra nella spirale soggetto-oggetto, chi passa i guai è più il soggetto che l’oggetto, perché non raggiunge mai niente. Proprio perché questa relazione deve essere sempre in atto, è necessario che i due termini non si congiungano mai. Tutti abbiamo sperimentato questo rapporto tra soggetto-oggetto, che prende il nome di “desiderio” e che tante volte ci ha fatto impazzire. Quante volte ci è capitato di aver rivestito un oggetto particolare di qualità magiche risolutive, quasi che quell’oggetto fosse stato in grado di risolvere il rapporto soggetto-oggetto; quando, poi, l’abbiamo raggiunto ci ha ricacciato in una ulteriore ricerca.

Quindi, non date retta all’analisi-logica che ci dice che il soggetto è colui che fa l’azione: il soggetto è colui che subisce l’azione dell’oggetto che lo tormenta continuamente. Questa è la relazione tra l’“io” e il Mondo.

È chiaro che a questo punto ci sono alcuni che si stancano. E a cosa approdano? Alcuni affermano che tutto deriva dall’“io”, dall’anima o dallo spirito, altri affermano che tutto deriva dalla materia, dal Mondo. Abbiamo da una parte lo “spiritualismo”, dall’altra il “materialismo”. Ma spiritualismo e materialismo vengono fuori dalla volontà di annullare l’altro termine dialettico ed è impossibile, perché fin quando c’è la relazione io-mondo è impossibile far derivare tutto dallo spirito o far derivare tutto dalla materia: si rimane incastrati nella relazione io-mondo. Questi sono i limiti sia del materialismo sia dello spiritualismo.

Secondo la concezione materialista l’“io” sarebbe una secrezione del cervello; dicono i materialisti: “l’“io” sta al cervello come la bile sta al fegato”. Ma come fa una realtà a produrre il suo opposto?! Così anche per gli spiritualisti.

Ecco come sono nati i termini “spirito”, “anima”, “materia”. L’anima, lo spirito, la materia, non sono delle sostanze: sono queste delle scissioni fuori posto! Esiste l’essere! L’anima, lo spirito, la materia sono soltanto delle modalità dell’essere. La scissione che facciamo fra spirito e materia rivela, in fondo, un grosso problema: siamo convinti che tutti gli enti siano impastati di essere e di non-essere. Quindi se c’è qualcosa che finisce, qualcos’altro deve pur rimanere. Per alcuni rimane lo spirito (gli spiritualisti), per altri rimane la materia (i materialisti). Si arriva a queste convinzioni proprio perché si è convinti che le cose siano fatte di essere e non-essere. Come se fosse possibile che qualcosa possa finire nel nulla!? Tutto ciò che è, per il semplice fatto che è, è eterno. Niente finisce. Le cose possono scomparire, ma non possono venire annullate. La preoccupazione di salvare l’essere dell’uomo chiamandolo “anima”, o di salvare l’essere più profondo della realtà chiamandolo “materia” deriva dalla convinzione che ci sia sempre qualcosa che va nel nulla e qualcosa che rimane. L’anima, come sostanza, è un’invenzione per risolvere questo problema.

La relazione io-mondo è il tema, o la tesi, che la psicoanalisi è necessario che smonti: la psicoanalisi è chiamata a smontare la relazione presupposta originaria, ma falsa, fra “io” e Mondo. L’“io” e il Mondo sono due facce della stessa medaglia: la falsità dell’“io” è la falsità del Mondo. L’“io” e il Mondo sono solo costrutti: esistono nella nostra mente, ma non sono per niente veri.

Mentre la psicologia ha la finalità di curare sempre la relazione fra l’“io” e il Mondo, la psicoanalisi – secondo me – ha come destino quello di rompere questa relazione, mostrare la falsità di questa relazione e di manifestare l’infondatezza e la falsità sia dell’“io” che del Mondo.

L’“io” e il Mondo sono prodotti fantastici come fantastica è la produzione di un Dio che sta lì pronto a fare da tappabuchi, un Dio che ci mette tutti al sicuro, il Dio della religione.

L’“io” e il Mondo, però, pur essendo prodotti fantastici, hanno una tale presa che distruggerli, renderli evanescenti, è un’impresa ardua, come è un’impresa ardua distruggere questo concetto del Dio che rassicura tutti i credenti.

Le produzioni fantastiche di fatto esistono, anche loro fanno parte dell’essere, ma non rispondono alla struttura originaria dell’essere, sono false. Il compito della psicoanalisi e quello di distruggere – in termini evangelici “odiare” – la relazione io-mondo. Gesù dice: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, …” (Lc 14,26); siccome questa pagina evangelica è molto dura, molti esegeti hanno interpretato il verbo “odiare” come “amare meno”. Se però si consulta il vocabolario greco ci si accorge che il termine per dire “amare meno” esiste; quindi non si capisce perché abbiano scelto proprio il verbo “odiare”. Cos’è l’odio verso il padre è la madre di cui parla Gesù? Non è l’odio verso le persone, ma l’odio verso le relazioni, verso le produzioni fantastiche per le quali siamo sempre schiavi di nostro padre e di nostra madre: il famoso triangolo edipico. È chiaro che il triangolo edipico non è la scena primaria – secondo Freud lo era -, ma solo una scena derivata. Per scovare la scena primaria bisogna andare più in profondità della triangolazione edipica: un bambino si attacca al padre e alla madre per tanti motivi e non solo perché sono il padre e la madre; si attaccherebbe anche ad un asino se gli stesse vicino fin dalla nascita.