Psicoanalisi 04 del 11.02.1995

È importante avere la conoscenza delle problematiche filosofiche, perché, purtroppo, ciò che manca sia alla psichiatria, sia alla psicoanalisi è proprio una solida base filosofica. La filosofia è l’unico sapere che non serve a niente, perché servire a qualcosa significa essere servi di qualcosa. Solo la filosofia, quindi, è libera, è padrona ed è il discorso radicale, critico, che coglie i limiti di ogni sapere.

L’economia, per esempio, ha come oggetto l’utile, il valore di uso, il valore di scambio, per cui quando gli oggetti perdono il valore di uso o il valore di scambio, non ci si interessa più di questo oggetto, che ormai è un rifiuto.

La filosofia, invece, è un sapere libero, in quanto va a porre delle domande tremende, di fondo, su ogni sapere. La filosofia (cioè il modo di intendere le cose) ce l’abbiamo tutti, però pochi sono quelli coscienti della propria filosofia, che sta alla base delle proprie affermazioni. Per cui molti sono convinti di non avere alcuna filosofia, di essere persone che hanno incontrato la realtà nella loro innocenza, senza schemi, senza aspettative, senza proiezioni. In realtà hanno la loro filosofia, di cui, però, non sono coscienti e questo non essere coscienti della propria filosofia li porta a fare degli errori gravissimi.

Purtroppo il sapere psicoanalitico e quello psichiatrico non hanno la coscienza profonda della propria filosofia e si spacciano per sapere scientifico, perché il sapere scientifico è obbiettivo, è neutrale, è universale (così si diceva trent’anni fa).

Dopo il complesso di Edipo, Freud incominciò a pensare che ci potesse essere anche il complesso di Elettra, cioè la versione femminile del complesso di Edipo. Ma poi, data la sua impostazione, la sua filosofia di vita, ritenne che per la donna non ci fosse il problema, perché la donna era solo oggetto del desiderio. Per tale motivo i problemi di soggettività, di identificazione non c’erano per la bambina di 5 anni, poiché aveva già risolto prima la sua identificazione con la madre.

Il complesso è un insieme organizzato di rappresentazioni, di ricordi. Questo insieme è parzialmente cosciente e parzialmente incosciente, tuttavia struttura tutti gli abiti psicologici: dell’apprendere, dell’affettività, dell’emotività.

Il complesso di Edipo non è stato mai visto in atto da Freud. Freud non ha mai visto in atto un bambino che ha desiderato sessualmente la madre, volendola togliere al padre. Ha osservato un attaccamento del bambino alla madre, ha osservato un certa rivalità col padre, quindi ha voluto spiegare come mai fosse messo in atto tale comportamento. Ma Freud, prima di questo, ha osservato altre cose e nella sua pratica clinica aveva scoperto la triangolazione: lui, lei e l’altro. Una triangolazione di rivalità che portava necessariamente alla fine della triangolazione stessa, all’eliminazione di un polo e quindi alla dualità.

Freud aveva osservato una rivalità triangolare presente in tutta la storia dell’umanità, sia nei casi clinici – e quindi a livello anormale -, sia a livello di letteratura (Freud era un grande appassionato di letteratura; di Dostojevskj, per esempio). Egli vedeva nella letteratura una sublimazione delle dinamiche primarie dei soggetti umani.

Questa rivalità triangolare è sempre presente, a tutti i livelli, in ogni epoca: lui, lei, l’altro. Un oggetto che in sé stesso non ha alcun valore, nel momento in cui c’è qualcuno che lo guarda, acquista per qualcun altro un valore grandissimo. Cioè si impara a desiderare secondo il desiderio dell’altro. Nasce così la rivalità (l’oggetto dell’asta: l’oggetto acquista valore perché l’altro lo desidera).

Platone diceva che la realtà sensibile è una copia della realtà ideale: esiste l’idea del cavallo e tutti i cavalli non sono altro che un’imitazione di quest’idea. Quindi ogni concetto è sempre un’idea, realmente esistente, perfettissima. Tutti gli oggetti sensibili sono solo una copia, un’imitazione di queste idee. Freud, da buon platonico, volle cercare un’idea di triangolarità che fungesse da modello per tutte le rivalità triangolari che rilevava nella storia dell’umanità. Questo modello doveva essere universale, doveva valere per tutti ed essere continuo (non interrotto: in un epoca c’è, in un’altra no), sensibile (perché Freud, data la sua struttura di pensiero, non poteva accettare che esistesse un mondo delle idee al di là del mondo sensibile). Questo modello di rivalità è proprio il rapporto triangolare tra padre, madre e figlio, perché la triangolarità familiare è presente in tutti i tempi, è continua, e universale, visibile e quindi sensibile, è posta alla base (infanzia) della storia umana, per cui può fungere da modello per tutte le triangolarità successive. Quindi Freud deve ammettere che esiste un modello di partenza per spiegare come mai questa triangolarità, questa rivalità mimetica si presenti sempre, a tutti i livelli, in tutti gli spazi. Poiché il concetto che lui aveva di scienza era il concetto cartesiano, secondo cui non può esistere un effetto senza una causa, dovette trovare una causa di tutte queste triangolarità: questa causa la trovò nel modello familiare.

Quindi Freud non ha visto in atto il complesso di Edipo. Ciò che riesce a vedere è solo, negli adulti, una specie di rivalità triangolare e nei bambini l’attaccamento alla madre e il tentativo del padre di rompere questo legame.

Ci vuole molta fantasia per vedere, al di là di queste rivalità triangolari, il complesso di Edipo, che – per Freud – è inconscio, cioè si deve supporre che ci sia. Per cui, se non lo vedi c’è, perché è inconscio; se lo vedi, c’è lo stesso.

Quando Freud teorizzò il complesso di Edipo (che prevedeva il parricidio e l’incesto) creò uno scandalo notevole, che però tornò a sua favore. Il complesso di Edipo funziona come un’arma immediata, istantanea e assoluta per sconfiggere chiunque si azzardi a mettere in dubbio la solidità della dottrina psicoanalitica freudiana. Se andate da uno psicoanalista freudiano ortodosso e mostrate di non condividere la sua interpretazione, che è sempre in chiave di complesso di Edipo, vi dirà: “lei sta facendo resistenza!”. La “resistenza”, secondo Freud, è un comportamento nevrotico tendente a negare la verità, perché se il soggetto accettasse la verità starebbe male. Il soggetto resiste ad accettare la vera interpretazione, perché questa lo farebbe star male, per cui egli provvede, tramite la resistenza, ad evitare di prendere coscienza di questa verità. Appena il paziente tenta di dare un’interpretazione diversa da quella che l’analista sta dando, l’analista freudiano dice che sta resistendo. L’analista spiega il perché il paziente sta resistendo: “tu stai resistendo, perché vuoi commettere un parricidio”. L’analista, in questo caso, sarebbe il padre che ti pone la legge e ti impedisce, perciò, di accedere liberamente alla madre. Ricordate il mito di cui parlò Freud: all’inizio c’era un’orda selvaggia e c’era il padre primordiale che impediva ai figli l’accesso alle donne. I figli uccisero il padre e si presero tutte le donne. Sennonché si creò una grande rivoluzione; a questo punto i figli cominciarono a sentire di nuovo il bisogno del padre, ma, poiché non potevano risuscitarlo fisicamente, lo risuscitarono sotto forma di legge: così nacque la società, la religione. La religione – dice Freud – non è altro che la ripetizione del sacrificio del padre primordiale, che necessitò, poi, la creazione della legge. Questo mito rivive nella triangolazione familiare.

Per cui l’analizzato, quando resiste all’analista, sta resistendo alla legge, al padre, sta tentando di ucciderlo. Quando l’analizzato risponde non accettando quell’interpretazione, l’analista dice: “tu stai mettendo in atto il complesso di Edipo, cioè non hai ancora superato il complesso di Edipo”. Una volta capito che non è possibile uccidere il padre, ci si può solo identificare con lui (il bambino, una volta capito che non può uccidere il padre, si allea, si identifica con lui).

Abbiamo così il processo di identificazione, che secondo Freud sarebbe il “super-io”. Il “super-io” è l’impianto delle istanze paternali, cioè del dovere dentro di noi, in modo tale che avvenga questa identificazione. Se però ogni tanto qualcuno resiste, vuol dire che non ha risolto ancora il complesso di Edipo.

Per tale motivo ci fu una grande polemica nel ’68, quando due analisti freudiani francesi si staccarono dalla corrente freudiana e scrissero un libro intitolato “L’anti-Edipo”. Sostenevano che la psicoanalisi non fosse altro che uno strumento della reazione contro le istanze di libertà e rivoluzione. L’Edipo (la morte di ogni persona, di ogni coscienza, di ogni cultura) non può funzionare. La psicoanalisi freudiana – dicevano – è borghese, liberticida e si meravigliavano che in Russia avessero messo al bando Freud.

In realtà, dicevano questi due autori, erano proprio i russi che dovevano usarlo, perché è funzionale al potere del padre, che dà la legge. Per cui nel setting analitico freudiano, quando l’analizzato resiste, subito scatta la condanna: “tu non hai superato ancora il complesso di Edipo, perché stai tentando ancora il parricidio, stai tentando di uccidere il padre che ti vuole dare la legge e che ti può permettere una giusta apertura al godimento della realtà”.

Secondo Freud, quindi, ogni rivalità triangolare è un effetto e deve avere una causa a monte, universale e che sia molto più grande degli effetti, cioè capace di contenere in sé tutte le manifestazioni di questo complesso.

Il ‘68 era la rivolta dei figli contro i padri per l’accesso ai beni della produzione, beni che identifichiamo con l’elemento femminile, che è il godimento.

DOMANDA: “Cos’è il super-io?”

RISPOSTA: Il “super-io” è ciò che si forma dopo aver superato il complesso di Edipo. Quando il bambino si è reso conto che col padre non può competere, si identifica con lui, accetta l’autorità paterna e mette così dentro di sé la morale.

Ma è vero che accade tutto ciò? No! Perché è impossibile che lo spazio della libertà umana possa essere riempito totalmente dal super-io. Edipo – secondo Freud – non è una storia vera, ma un mito in cui al posto del padre c’è la divinità. Per Freud l’inconscio non sono le passioni, che sono già coscienti, ma l’istinto di conservazione e di riproduzione, è l’apparato biologico, biochimico, fisico, ciò che è diverso dalla coscienza e non può mai diventare cosciente. Per “io” intendo l’inconscio come limite della coscienza. La coscienza non può estendere il suo campo ovunque ed avere tutto sotto controllo. Ciò che accetto di Freud è il limite della coscienza e quindi Freud è una delle voci della trascendenza (là dove la coscienza umana dichiara forfait).

Sono quattro le sedi in cui si rivela la trascendenza: la natura, la storia, l’inconscio, l’imperativo morale. Sono quattro le situazioni cliniche in cui l’essere umano si accorge che c’è qualcosa che trascende il campo della coscienza. Freud, però, descrive poi l’inconscio in altri modi, che sanno più di filosofia esistenzialista che di pulsioni di carattere biologico o fisico. Nell’approccio che lui ha col paziente rivela tutta l’inaffidabilità della sua teoria. “C’è qualcosa che ci precede…” dice Freud, e questa è una delle risposte migliori alla filosofia dell’idealismo che faceva del mondo una rappresentazione della volontà. Quindi c’era una voce che nell’Europa dell’800 poneva un limite alla scienza.

Pensate che, alla fine del XIX secolo, c’era la convinzione che la scienza avrebbe dato in mano agli uomini le chiavi della felicità. Freud, invece, parlava di pulsioni, di inconscio, di oscurità, di limite.

Leggete la lettera che Freud scrive ad Einstein – e la risposta di Einstein – sulla guerra, in cui dice che non si può eliminare la guerra, perché essa fa parte dell’aggressività umana e l’aggressività non si può eliminare.

DOMANDA: Tornando al complesso di Edipo, è importante nella crescita del bambino la fase di identificazione col genitore del proprio sesso?

RISPOSTA: Dal punto di vista del modello si. Non si tratta di qualcosa di positivo o di negativo: è un dato di fatto e molte volte avviene con rischio. In questa identificazione c’è rivalità: il complesso di Edipo non è l’identificazione, perché l’identificazione avviene dopo il complesso di Edipo (è il super-io). La molla del complesso di Edipo è la rivalità. Freud distingue due momenti: il complesso di Edipo e il super-io. Nel complesso di Edipo il padre è il rivale esecrato e non il modello con cui identificarsi. Nel super-io il padre è il modello con cui identificarsi e non può essere il rivale esecrato. Quindi è costretto a scindere le due fasi. Invece noi dobbiamo trovare un modello in cui l’identificazione e la rivalità siano presenti allo stesso tempo senza la necessità di scinderle. Freud non riesce a capire come mai ci possa essere una rivalità e una identificazione. D’altra parte, secondo Freud, l’attaccamento del figlio alla madre è un dato primario (il figlio non si attacca alla madre perché vede il padre legato alla madre, ma è da sempre legato, non è qualcosa che avviene per identificazione, è un qualcosa di innato). L’identificazione avviene negli animali fino ai tre mesi, perché dopo non riconoscono più i genitori. Ciò che non avviene nell’animale è la rivalità. Quando ci dobbiamo identificare con una persona che riteniamo grande, ci identifichiamo, ma allo stesso tempo lo combattiamo. Identificazione e rivalità. Questo Freud non lo ha capito bene, perciò è stato costretto a scindere i due momenti in due fasi successive: prima rivalità e poi identificazione.

Queste sono due dinamiche da tenere insieme. Freud è partito col piede sbagliato, nel senso che se il bambino è legato alla madre per biologia, in cosa consiste l’identificazione e rivalità col padre? Non è che si identifica col padre perché vuole la madre, perché già la vuole per conto suo, quindi c’è solo la rivalità, perché non vuole che la madre sia presa dal padre, e allora non c’è l’identificazione. Cioè il bambino, secondo Freud, non impara dal padre a possedere la madre, ma l’ha già sua per nascita. Ma allora è solo una rivalità. E allora perché dopo c’è l’identificazione?

Mettendo, invece, insieme rivalità e identificazione possiamo capire il meccanismo della rivalità triangolare.

Questo complesso di Edipo è inconscio, si può solo interpretarlo a partire da certe situazioni e quindi si può trovare sempre laddove c’è una contestazione dell’autorità di chi ne sa più di me e di chi vuole impormi una legge (può essere col padre, col professore, col datore di lavoro). Però, dice Freud, tutte queste manifestazioni di rivalità e di non accettazioni di leggi dell’esistenza rimandano sempre al complesso di Edipo inconscio che non è stato, evidentemente, risolto. Secondo Freud tutti abbiamo avuto il complesso di Edipo, perché se per caso non l’avessimo avuto, non si spiegherebbe il perché ci comportiamo in questo modo, resistendo, oppure obbedendo. Il freudiano ortodosso ritrova sempre il complesso di Edipo sotto forma di opposizione all’autorità, dove non è stato risolto, o, dove è stato risolto, sotto forma di accettazione dell’autorità.

In questo senso la psicoanalisi freudiana, secondo i due psicanalisti francesi, è una psicoanalisi del potere borghese, che dice che l’uomo che sta bene è quello che accetta l’autorità. Chi non accetta l’autorità sta male, perché non ha superato il complesso di Edipo. Per questo dico che se in Russia avessero letto bene il testo di Freud, avrebbero fatto del freudismo una dottrina di Stato.

Negli animali non c’è rivalità, c’è l’obbedienza al branco, perché il tutto è regolato da pulsioni e da istinti. Ci sono le gerarchie, ma non c’è rivalità (si sa chi deve stare sotto; c’è l’ape regina, l’ape operaia, ecc.). Le gerarchie esistono già prima della rivalità, sono istintive. Le rivalità, in campo umano, hanno altre valenze; le rivalità in campo animale hanno la finalità di permettere solo all’animale più forte di imporre la legge.

DOMANDA: Nell’ambito familiare il complesso di Edipo esiste anche al di là dell’autorità del padre, o solo in questo caso?

RISPOSTA: Non capiremmo cosa succede quando non c’è il padre, ma solo la figlia e la madre. Con la teoria della rivalità mimetica (di cui parleremo) capiremo che anche tra madre e figlia ci può essere rivalità mimetica.