Teologia 05 del 03.11.1997

Il tema dominante delle conferenze di questo nuovo anno sarà la “follia”. La follia ha ragioni altissime e nobilissime; in essa è possibile trovare motivazioni che caratterizzano scelte di vita ed anche storiche. “Oggi la gente è depressa”: questa affermazione può sembrare negativa ed allarmante in quanto rivelatrice di un malessere sociale, ma non è così. Ciò a cui bisogna tendere per mantenere un buon equilibrio è una “depressione ben temperata”. La depressione è la verità sulla esistenza ed il depresso clinico è colui il quale non riesce a vivere questa verità. Il depresso clinico è colui che muore perché non riesce più ad ingannarsi, a raccontarsi le favole. Il depresso ben temperato, invece, è colui il quale ha capito il senso dell’esistenza, non sente il bisogno di raccontarsi le favole ed è contento di essere nato.

Questa depressione ben temperata è alla base della grande produzione artistica. Essere capaci di vivere bene questa profonda verità che la follia dice sulle cose è segno di una depressione ben temperata, di grande maturità. La depressione è lo stato iniziale. Per sfuggire alla depressione si mettono in atto molte strategie (schizofrenia, paranoia, euforia maniacale, ecc.), ma queste sono solo “tecniche”, tentativi che non portano ad alcun risultato. Per intervenire su queste manifestazioni, che hanno tutte alla base il problema della depressione, bisogna capire che in psichiatria esiste la cosiddetta “sindrome bipolare”, nella forma più grave, o “ciclotimia” in quella meno grave. In comune esse hanno una manifestazione dei sintomi in senso ciclico, ossia si va da una forma depressiva ad una forma euforico-maniacale che si oppone alla prima, per poi tornare allo stato depressivo e così via.

Alla fine il soggetto che soffre di questi disturbi può rimanere nello stato euforico-maniacale, con manifestazioni di delirio, oppure in uno stato depressivo che può portare anche al suicidio. La depressione ben temperata è una compensazione fra gli stati, un “disincanto amorevole”. Il taglio di questi nuovi incontri sarà esaminare questi stati di follia sotto forma di divertimento culturale. Non si tratteranno problemi inevitabili, ma fastidiosi, quali il lavoro, la casa, i figli da mantenere, il matrimonio – che è come una città fortificata, in cui chi sta dentro ne vuole uscire e chi sta fuori vuole entrare per poi volerne uscire e così via -, ma si tratteranno problemi che presuppongono un gusto, un divertimento culturale.

Nel mondo in cui viviamo non c’è un grande movimento culturale; esiste una cultura piuttosto massificata dove la televisione ha un ruolo predominante. Si legge poco, al massimo qualche giornale, ma niente di più.

Si tratteranno, nei prossimi seminari, temi culturali inevitabili, ma sfiziosi, di cui solitamente non si parla in altre sedi.

La parola “scuola” – ripeto – deriva dal greco “scholé”, che significa “tempo di quiete”, di rilassamento, così come deve essere la cultura: qualcosa di libero, di non forzato, privo di programmi imposti. Solo in uno stato di riposo la mente può trattare temi grandi, di grande spessore, degni di essere discussi.

La cultura è il profilo di un’epoca che si delinea a partire dal rapporto che la coscienza umana ha con la morte. Esiste una cultura alta e profonda, che è essenzialmente uno stile di vita accompagnato dalla riflessione, ed una cultura bassa che è uno stile di vita ormai omologato che ha come mezzo di dialogo il messaggio ed è presente un po’ ovunque nella nostra società. I giornali, la televisione, non sono mezzi che divulgano il messaggio, ma sono il messaggio stesso; non ci rendiamo conto che proprio il grande peso che noi diamo a questi mezzi ci induce a considerarli così insostituibili da essere, loro stessi, fine e messaggio. Attraverso questi mezzi di comunicazione di massa si crea uno stile di vita omologato di cui non si conoscono le motivazioni, ossia non esiste una riflessione sul perché le cose vanno così: le accettiamo passivamente.

La cultura alta è accompagnata dalla coscienza delle motivazioni, in quanto ponendomi sempre il perché delle cose io posso sentirmi più elevato e quindi più libero dagli schemi.

Ciò che manca alla Chiesa, oggi, è la capacità di evangelizzare la cultura, di incidere su di essa. Ciò che nella nostra parrocchia si cerca di fare. Bisogna però intendere bene quale tipo di cultura si vuole evangelizzare. Se si tratta di evangelizzare la cultura bassa, questo è possibile in quanto la Chiesa è il luogo adatto a sgrossare un po’ gli stili, pulirli, metterli a nudo, cercare insomma di elevare gli animi verso una maggiore consapevolezza di sé. È comunque una bassa cultura, tacitamente cambiabile, che dà solo una parvenza di miglioramento: è come se la gente passasse da uno stato comune di depressione ad uno stato d’euforia maniacale. Questo, la Chiesa – ed i preti in special modo – lo fa benissimo. Ma bisogna capire che chi viene in Chiesa non lo dovrebbe fare per incontrare gli altri, bensì per incontrare sé stesso ed iniziare così un lungo lavoro di conoscenza interiore. La socializzazione consente solo di appoggiarsi agli altri senza avere la possibilità di lavorare su sé stessi.

I problemi nascono quando la Chiesa cerca di evangelizzare la cultura alta, formata da persone avvezze ad accompagnare con la riflessione le proprie azioni. La Chiesa, in questo caso, si accorge che è impossibile evangelizzare questo tipo di cultura, la quale nasce da una matrice unica che è in antitesi con la fede cristiana. Sarebbe come se si volesse trasformare in bianco il nero. Appare evidente come la Chiesa sia entrata in una sorta di confronto serrato con la cultura alta moderna. La matrice di questa cultura alta e le sue origini verranno trattare nelle prossime conferenze.