Critica psicoanalitica 08 del 20.03.2000

Ogni tanto vi leggo qualche cosetta, da qualche giornale, che chiamo “voci dal mondo”. Il cristiano non può non tenere l’orecchio aperto sul Mondo, non perché speri o si aspetti di avere dal Mondo chissà che cosa, perché fino a quando il Mondo è Mondo – questo per il “principio di identità”, per il quale ogni cosa è identica a sé stessa -, il Mondo è il luogo della non-verità. Tuttavia, il Mondo, proprio nella sua mancanza di verità, non volendo, diventa testimone di molte cose importanti. Quindi l’attenzione che noi cristiani dobbiamo avere sul Mondo non è finalizzata all’apprensione di chissà quale verità, perché se il Mondo è Mondo, allora è “deserto”.

La parola “deserto” deriva dal latino “desertus”, che vuol dire “abbandonato”. Abbandonato da che cosa? Abbandonato dalla verità. Certo non arriveremo a dire, come il filosofo Hegel, che “le preghiere del mattino consistono nella lettura dei quotidiani”. Perché Hegel diceva così? Perché era convinto che la Storia fosse un processo assoluto, infinito, perfetto in sé stesso, non bisognoso di altro al di fuori di sé e che, come per gli asceti la preghiera era fonte di ispirazione, così per il filosofo la lettura dei giornali ogni mattina serviva a recepire e cogliere i segni della Storia e la sua forza ispiratrice.

Quindi bisogna avere l’orecchio sul Mondo, perché il Mondo nella sua nullità di verità dà dei segni, dei sintomi, delle testimonianze di verità. Il cristiano non deve essere così sciocco da trincerarsi e chiudersi in un sapere sterile, teologico e basta. Stranamente sono proprio i saperi mondani, i saperi del Mondo, i saperi che non hanno la verità alla base, che nella loro falsità ci possono dare delle ottime chiavi di lettura e di approfondimento del nostro stesso messaggio cristiano.

I saperi mondani sono fondati e basati sulla “volontà d’interpretazione”. Che cos’è la “volontà d’interpretazione”? È quella volontà che mi porta ad affermare che le cose stanno in certo un modo, non perché stiano realmente così, ma perché io voglio che stiano così. Allora si trascura di usare il verbo “volere” – “io voglio che…” – e si utilizza il verbo “stare” – “le cose stanno così!”. Ma è soltanto una mia volontà d’interpretazione che vuole che le cose stiano così.

Le “voci dal mondo” sono quei brevissimi trafiletti o articoli che a volte vi leggo e che ritengo interessanti come chiavi di lettura per approfondire sempre meglio la comprensione del messaggio cristiano. Ieri leggevo questo: “Nuove vie della comunicazione – titolo di Elzeviro -: fate spettacolo, qualcosa resterà”. Che centra lo spettacolo adesso? Fatemi leggere, poi vi dico: “A fine gennaio alcuni professori più puristi hanno accolto con un’alzata di sopracciglio e magari un sorrisetto di sufficienza, l’annunzio della creazione del “Normal Center” alla prestigiosa “Università of Southern California”. Il preside dell’università, un certo Steven Sample, il preside del dipartimento di “Scienze della comunicazione” Offrey Cowan – il noto studioso – e lo sceneggiatore e produttore televisivo Martin Kaplan, che lo dirigerà, hanno dichiarato che il Centro sarà consacrato alla ricerca e all’insegnamento sullo spettacolo – il termine inglese più generico è “entertainment”, che vuol dire “intrattenimento” – in tutte le manifestazioni dell’esistenza umana”.

Quindi alla ricerca e all’insegnamento dello spettacolo in tutte le manifestazioni dell’esistenza umana. “La ricerca sarà a tutto campo: dall’informazione alla politica, dall’istruzione alla religione, dalla giurisprudenza all’architettura, dal business alla tecnologia, non solo negli Stati Uniti ma in ogni Paese”.

Quindi, come lo spettacolo può funzionare nella giurisprudenza, nella religione, nella politica, nell’informazione, nell’architettura, nella tecnologia; insomma, in tutto la presenza dello spettacolo! Dunque, aveva visto giusto, fin dal 1899, il sociologo norvegese T. Veblen, con la sua “Teoria della classe agiata” (la classe che poteva permettersi i divertimenti), e aveva ben visto J. Huizinga, uno scrittore olandese studioso del Medioevo, nel suo celeberrimo saggio “Homo ludens” – prima è venuto l’“homo sapiens”, poi l’“homo faber” ed ora siamo ormai nella terza fase, quella dell’“homo ludens”. L’homo sapiens era l’uomo intelligente delle antiche culture; poi Marx disse: “finora i filosofi hanno solo interpretato il mondo, d’ora in poi bisogna cambiarlo”. Così venne fuori l’“homo faber”, che costruisce il suo destino.

Adesso c’è l’“homo ludens”, l’uomo che gioca, che si diverte, che s’intrattiene, che fa spettacolo. “I professori cui accennavo sopra sono diventati ipersensibili su questo argomento, dopo essere stati ossessivamente indottrinati dai loro lettori per anni ad insegnare intrattenendo, e ad intrattenere insegnando. Nelle aule spuntano ovunque televisori, proiettori a cristalli liquidi, lettori di video-cassette e connessioni dirette con Internet; servizi inter-facoltari appositi forniscono, su richiesta, immagini, filmati, animazione per corsi: fa cattiva figura ormai il docente che usa solo la lavagna luminosa, o, non sia detto, una ‘paleolitica’ lavagna.

Nei seminari aziendali, soprattutto ai vertici, i manager coltivano scientificamente l’arte della battuta, traviamente documentandosi su appositi manuali di barzellette e motti di spirito d’autore”. Così, prima di andare in ufficio i direttori e i professori si preparano a casa una scaletta delle barzellette, la infilano una all’altra e poi quando vanno lì – in ufficio – fanno lo spettacolo con i clienti o i pazienti, cioè con quelli con cui “serva a sdrammatizzare”. Lo spettacolo, fatto di barzellette più o meno condite, serve a sdrammatizzare. E, come si è detto, prima si preparano un bel copione, perché la cosa più importante è intrattenere, e, mentre le intrattieni, gli infili la mano in tasca e gli rubi il portafoglio, però, alla fine, li hai intrattenuti! Bisogna intrattenerli, perché se non lo si fa il portafoglio non glielo puoi levare dalla tasca e non puoi fare i tuoi affari! Lo spettacolo serve a fare affari.

“Assicuratesi il pane, ormai le masse esigono sempre più i ‘circenses’” – “panem et circenses” era il motto dei romani al tempo degli Imperatori: “vogliamo il pane da mangiare e i giochi del circo”, cioè il divertimento. “Non a caso proprio negli anni bui della grande depressione l’industria cinematografica continuò a crescere senza sosta. Le sale cinematografiche pullularono lungo tutti gli anni ‘30 in barba alle prediche dei preti, degli sceriffi e delle dame dabbene che vedevano nell’emulazione delle gesta osservate sullo schermo la fonte di ogni nequizia. Proprio per evadere dallo squallore quotidiano, anche allora, si raggranellavano comunque i soldi per andare al cinema. L’esportazione di spettacoli è diventato oggi uno dei maggiori cespiti d’introito dell’economia americana, comparabile solo all’esportazione di aerei.

In tempi più recenti aveva ben visto anche l’autore di “Jurassick Park”, perfino le più raffinate tecnologie scientifiche sono destinate ad alimentare il divertimento e la vacanza. Ci piaccia o meno, la trasformazione della cultura in spettacolo è destinata ad ingigantirsi”. Infatti, sia a livello nazionale, sia a livello regionale, che provinciale e comunale, gli “Assessorati alla cultura” possono essere chiamati “Assessorati allo spettacolo”, perché di cultura non c’è nient’altro che lo spettacolo, fanno continuamente spettacolo, perché la cultura è, appunto, spettacolo e lo spettacolo non bada tanto alla qualità, ma alla partecipazione della gente: più gente partecipa, più lo spettacolo riesce. Quindi la cultura è solo spettacolo.

La cultura non è più “coltivazione” – per “cultura” si dovrebbe intendere “coltivazione di sé”. Non ci si coltiva perché si fanno spettacoli, dei più disparati: oggi vengono le ballerine brasiliane, domani le ballerine cubane, dopodomani le ballerine ugandesi, dopodomani ancora i saltatori russi; questi spettacoli sono cultura. Sareste capaci di farmi capire qual è il filo che lega tutti questi spettacoli e che permette alla persona che li vede di coltivarsi? Io non lo so!

La parola “divertimento” deriva dal latino “divertere”, cioè “girarsi”, girare le spalle. Il “divertirsi” è il movimento opposto al “convertirsi”. “Convertirsi” significa cominciare a guardare le cose come stanno; “divertirsi”, invece, significa girare le spalle e andarsene. “Al nuovo Istituto californiano non mancherà certo il materiale di ricerca. Hanno un bel sorridere quei professori insinuando che si finirà per dare cattedra a Sharon Stone e Robert Deniro: le profetiche nozioni di consumo appariscente, di emulazione simbolica e di valore dell’evasione in quanto evasione dei valori, che provengono dai loro illustri e austeri colleghi”.

Non è che la Chiesa sia immune da questo! Basti vedere certi spettacoli in piazza San Pietro! Voi pensate, per fare un esempio, che la prima giornata giubilare “dedicata”, è stata quella del “giubileo dei bambini”, il 1° Gennaio. Ma perché l’hanno fatta proprio il 1° Gennaio? Non la potevano fare a maggio o a giugno? E no, perché tutto inizia dal bambino, quindi si ha l’immagine del giubileo che cresce come cresce il bambino. Perciò, cari bambini, anche se fa freddo, il vostro spettacolo bisogna farlo il 1° gennaio, perché lo spettacolo si deve fare!

Lo potete notare anche da certi edifici sacri della Chiesa, che danno proprio la sensazione dello spettacolo, perché devono colpire la fantasia e l’immaginazione: al di là dei contenuti della fede, deve essere un fatto spettacolare, la vista deve essere piena, occupata, in modo tale da far provare a chi sta dentro il tempio, il semplice gusto di appartenere a questo tempio, di appartenere a questa comunità spettacolare senza capire il motivo per cui vi appartengo.

Questo fasto – lo spettacolo – serve soltanto ad impedire l’esercizio delle capacità critiche.

Voi sapete che abbiamo due tipi di cervello: abbiamo il C.P. – il Cervello Primitivo – e il C.C. – il Cervello Corticale. Il C.P. – cervello primitivo – viene chiamato anche il “cervello dei rettili”: è la parte primitiva del cervello, che raccoglie le emozioni e che poi dovrebbe passarle alla parte corticale, al C.C., perché vengano elaborate e si abbia la risposta riflessa. Negli animali è chiaro che prevale il C.P., il cervello primitivo, perché l’animale non pensa e non riflette, è istintivo. L’essere umano, purtroppo, ha la brutta complicazione di avere anche il C.C.. Allora, quando uno si accorge di avere il C.C., per non complicarsi la vita, deve evitare che le informazioni dal C.P. arrivino al C.C. per essere elaborate in piccola riflessione.

Così arrivano al C.P., che sta più sotto del C.C., un po’ più all’interno del cervello, alla base del cervello corticale, e lì si fermano per essere subito scaricate come risposta immediata. Il divertimento, lo spettacolo, tutto ciò che insiste sull’aspetto emotivo di una persona, è proprio opera del cervello primitivo: in queste attività non si deve dare il tempo al C.C. di elaborare la cosa, di esercitare le capacità critiche, ma tra lo stimolo e la risposta ci deve essere quanto minor tempo possibile. Lo spettacolo, la spettacolarità ha proprio questa finalità: quella di impedire che lo stimolo dalla parte primitiva, “limbica”, arrivi alla parte corticale e venga elaborata.

Insomma, bisogna impedire che la gente usi il suo cervello, bisogna tagliarli la testa! Pensarono bene Danton, Marat e Robespierre, durante la rivoluzione francese, di usare la ghigliottina – tagliare la testa – per quelli che non accettavano che ci fosse qualcuno che ragionasse al posto loro.

Che c’entra tutto questo con il tema dell’anoressia e della bulimia che stiamo trattando in queste lezioni di psicoanalisi? Che c’entra lo spettacolo con l’anoressia e la bulimia? La parola “bulimia” deriva da “bous-limos”, che vuol dire “fame da bue”; “anoressia” significa “mancanza di appetito”. Cosa centrano questi significati con lo spettacolo?

Ebbene, il primo spettacolo che ogni essere umano propriamente vive, è quello della bulimia e della anoressia e nessun essere umano è esente dal viverlo. L’anoressia e la bulimia – vi dicevo l’altra volta – prima che essere un disturbo somatico (che riguarda il corpo), è un disturbo mentale. Ma è un disturbo non di alcune persone, è un disturbo mentale di tutti quanti, perché mentalmente siamo tutti bulimici e anoressici. Il fatto che la bulimia e l’anoressia mentale in alcuni assuma forme patologiche – dal punto di vista sempre mentale – e che in altre persone ci sia una “conversione somatica”, che cioè diventi un disturbo alimentare del corpo vero e proprio, questo è un aspetto secondario, ma ogni essere umano è bulimico e anoressico, perché la psiche umana è strutturata in maniera bulimica e anoressica. Non può la psiche non essere bulimica, non può non essere anoressica: se la psiche è il rapporto tra l’“io” e il Mondo, questo rapporto io-mondo si configura come un rapporto di bulimia e anoressia, perciò siamo tutti bulimici e anoressici.

Chi mi ha fatto capire queste cose? Me le ha fatte capire il Vangelo. Vi portai l’esempio della parabola del pubblicano e del fariseo. Il fariseo era un uomo di spettacolo. Il fariseo era il classico tipo bulimico e anoressico. Bulimico, perché ha bisogno di spettacolarizzarsi, ha bisogno di impatto e di incontro con il Mondo, ha bisogno che il Mondo lo veda, lo guardi, che il Mondo gli dica che è bravo. il fariseo ha bisogno di riempirsi di Mondo, perché se nessuno lo guardasse, se nessuno lo stimasse, se nessuno lo apprezzasse e se nessuno lo valutasse, il fariseo si sentirebbe morire: è un bulimico perché ha fame di Mondo, ha bisogno, nel suo spettacolo, di avere un pubblico quanto più grande possibile.

È chiaro che un minuto dopo questa abbuffata di Mondo, di spettacolo, il fariseo – che non è uno stupido, è un tipo che ragiona – ritiene di essere incastrato dal Mondo, ritiene di essere dipendente, di essere una vittima del Mondo, di avere un bisogno ossessivo del Mondo. Allora che fa, prende le distanze dal Mondo e si rivolge a Dio; infatti il fariseo dice: “Oh Dio, ti ringrazio, perché non sono come gli altri uomini…” (Lc 18,11). Quindi, prima ha fatto spettacolo dinanzi al Mondo, si è riempito di consensi, si è riempito di lodi, poi, schifato di questo bisogno bulimico del Mondo, lo abbandona e dice “Dio ti ringrazio perché non sono come gli altri”. Così diventa un anoressico, cioè comincia a fare digiuno del Mondo. Ma state certi che il giorno dopo tornerà nuovamente ad aver bisogno del Mondo.

Questo è lo spettacolo dell’“io” bulimico e anoressico. Gesù le aveva capite bene queste cose, infatti chiama i farisei “sepolcri imbiancati”, perché sono bianchi, puliti, nitidi da fuori, ma dentro hanno il marciume. Dice Gesù ai farisei: “Badate di non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre Vostro che è nei cieli. Quando, dunque, fai l’elemosina, non metterti a suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per averne gloria presso gli uomini. In verità vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina rimanga nel segreto e il Padre Tuo che vede nel segreto ti ricompenserà. E quando pregate, non siate come gli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per farsi notare dagli uomini. In verità vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa. Ma tu quando vuoi pregare entra nella tua camera e, serrato l’uscio, prega il Padre Tuo nel segreto, e il Padre Tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,1-6).

Qualcuno potrebbe dire: “perché, allora, veniamo in chiesa la Domenica per la Messa, invece di rimanere ognuno a casa sua?” Giusta osservazione! Il fatto è che voi la domenica venite in chiesa non tanto per pregare, perché si può pregare benissimo anche a casa propria: venite in chiesa perché la Chiesa è una scuola, venite qui per imparare, perché qui si può imparare. Poi a casa pregate per conto vostro.

La nostra esistenza è, quindi, un’altalena fra bulimia e anoressia, fra la fame di Mondo e lo schifo per il Mondo.

Per non avere bisogno del Mondo bisognerebbe essere capaci di auto-stima. Chi è capace di auto-stima? Chi è capace di dare a sé stesso la stima e il valore che gli compete, senza stare a chiederlo e ad implorarlo agli altri. Noi abbiamo sempre bisogno dell’occhio dell’altro per sapere il nostro valore, perché l’occhio dell’altro ci dà quasi la sensazione di esistere, perché se nessuno ci guardasse noi non ci sentiremmo vivi. Questo che significa? Significa essere nelle mani degli altri. Se tu poni la tua esistenza nelle mani degli altri è chiaro che dipendi dagli altri, nonostante il tuo valore. Ma questo avvertire, avere coscienza che il proprio valore sta nelle mani dell’altro mi crea un fastidio enorme, tremendo e allora lascio tutti e vado via, faccio l’anoressico. Ma quando lascio tutti e vado via, avverto un senso di vuoto e allora torno indietro.

Questa dialettica della bulimia – del bisogno di prendere dal Mondo – e dell’anoressia – del bisogno di vomitare tutto ciò che il Mondo mi ha dato – investe tutti i campi dell’esistenza umana: lo studio, il lavoro, la famiglia, gli affetti, il sesso.

Proprio l’attività sessuale è, tante volte, la rappresentazione più completa, più perfetta dell’“io” bulimico e anoressico, perché la pulsione sessuale è una “pulsione – si dice – di oggetto”, cioè esiste la pulsione sessuale dentro di noi perché c’è un oggetto corrispondente a questa pulsione. Allora questo bisogno, questa brama di oggetto ci porta fuori di noi, ci fa rilevare uno stato di mancanza, ci pone in una relazione oggettuale, per cui vado fuori di me a ricercare quest’oggetto che sento mancarmi, perché solo da quest’oggetto viene la mia soddisfazione. Questo è l’aspetto bulimico del sesso.

Quando però ci si accorge che si è dipendenti, che si è vittime, marionette mosse da questa pulsione di oggetto che ci costringe, che ci muove, ci sbatte da una parte all’altra, perché siamo vuoti, perché siamo in uno stato di bisogno – e riconoscere di essere bisognosi è difficile -, quando ci si accorge di questo si entra nella fase anoressica. L’anoressico sessuale è quel tipo stupido, maschilista, che solitamente dice frasi tipo: “io mi faccio tutte le donne”, ecc., per non riconoscere che sono le donne che si fanno lui.

È come se dicessi, per esempio, “io mangio la mela”: sì, è vero che tu mangi la mela, ma perché non ammetti che prima di esser tu a mangiare la mela, è la mela che ha mangiato te, che ti ha divorato; perché non ammetti che la mela ti attira, ti affascina, ti divora, ti toglie la libertà anche di dire “no”, ti rende impotente, incapace, ti rivela il tuo stato bulimico, il tuo stato di mancanza, di necessità. Questo è un esempio, ma per il maschilista anoressico è la stessa cosa: non ammette di essere una vittima del bisogno delle donne, di cui non riesce a fare a meno: afferma di essere lui a “consumare” le donne, senza sapere che sono le donne a consumare lui, perché è lui il bisognoso. Ovviamente vale la stessa cosa per le donne anoressiche sessuali.

Alcuni sciocchi dicono: “il sesso è naturale”; si vede che non hanno capito quasi niente! Il sesso è il precipitato di questi disturbi esistenziali, anoressici e bulimici. Quindi non c’è niente di naturale. È qualcosa che risponde a bisogni che non sono fisiologici, ma a bisogni umani veri e propri. Se noi andassimo a vedere le motivazioni, le fantasie, i vissuti che stanno dietro alle attività sessuali, ci renderemmo ben conto di questo problema di anoressia e bulimia continua riguardo al sesso. Pensate al vecchio adagio “homo post coitum tristis”, cioè “l’essere umano dopo il coito è triste”. Perché è triste? Perché dopo essersi “abbuffato” avrà evidentemente mal di pancia, o mal di stomaco! Voi immaginate le persone immature che affrontano l’attività sessuale. Un manicomio!

Nel sesso si concentrano due aspetti: l’uomo come “segmento della specie” e l’uomo come “individuo”, come “persona”. Sotto il primo aspetto – l’uomo come segmento della specie – l’uomo come individuo non conta niente. Ma è proprio il sentirsi solo un segmento della specie che crea questo grande interrogativo. Ecco perché la Chiesa, quando dice certe cose, non le dice a caso.

Ricordatevi che molti vuoti esistenziali, siccome non sappiamo configurarceli bene, abbiamo bisogno di racchiuderli, raggrupparli, riassumerli in un oggetto e soprattutto negli oggetti primari: ecco perché tutti i disturbi esistenziali scelgono gli oggetti primari, che sono il cibo e il sesso. Sul cibo e sul sesso si scaricano tutti i disturbi esistenziali: questi disturbi, proprio per la loro grandezza – le grandi domande, come “Chi sono io?”, “Da dove vengo?”, “Dove vado?”, i grandi problemi della nascita, della morte, di Dio – li concentriamo in quelli che sono gli aspetti e i bisogni più evidenti, più essenziali, che sono appunto il cibo e il sesso. Li scarichiamo là. Più sono forti i vuoti esistenziali, i sensi di mancanza e più questo spettacolo bulimico e anoressico lo vediamo ben rappresentato nelle persone.

Come si esce dal rapporto io-mondo? L’uscita si chiama “coscienza”. La coscienza – che nel brano del fariseo e del pubblicano è rappresentata dal pubblicano, che se ne sta nel fondo, lontano, attento a ciò che dice – è eterna, è vecchia, è antica, sa come vanno le cose.

Oggi dovremmo affrontare il tema della “nudità della coscienza”. La coscienza è nuda in quanto non ha abiti teatrali, non fa spettacolo.